IL NOME: Bienno (Bién) - Boenno (sec. XII) - Buenno (sec. XIII): il nome "Bienno" potrebbe derivare da un nome gentilizio di origine romana "Biennius". Proprio a Bienno infatti è stata scoperta una lapide tronca sul cui margine laterale si può leggere "ienni" e "ennus": questo porta alla (provata) deduzione che sull'altra parte (quella mancate) fosse presente una "B". Ma Bienno potrebbe anche, etimologicamente avere avuto origine da una voce del basso latino: "biennium" che identificava quei canali artificiali (di solito in legno o, in epoca successiva e più vicina a noi, in pietra e muratura) che portavano l'acqua alle ruote dei mulini. Va ricordato che Bienno, fin da epoca antica, era particolarmente ricco di questi canali, che portavano acqua (e dunque energia) per le sue numerose fucine con i possenti magli per la lavorazione dei metalli ferrosi. Queste officine sono rimaste operose e attive, anche nel centro abitato, fino alla fine del 1900. Un'ultima ipotesi per dare una derivazione toponomastica a Bienno è fare riferimento al nome personale "Biena", nome abbastanza diffuso nel patriziato Etrusco in epoca pre-romana. LA STORIA : Fino da epoca remota e preistorica la zona prospiciente le terre su cui oggigiorno sorge il centro abitato, doveva essere frequentata dagli antichi Camuni tanto che sul colle del Cerreto (dominante tutta la bassa Valle Camonica a sud-ovest e la media Valle Camonica a nord-ovest), è stata ritrovata, sulla sommità, una famosa pietra squadrata di un'ara antica chiamata in dialetto locale "la prèda de l'altàr" (la pietra dell'altare). Certamente si tratta di uno di quegli antichissimi centri di culto, posti in siti significativi per l'osservazione dei fenomeni naturali o per spaziare sulla natura dei luoghi, che riportano alla memoria i sacerdoti Druidi e i loro riti sacrificali di origine Ligure-Celtica, che per secoli sono stati ben presenti e fortemente radicati nella cultura delle numerose e selvagge valli Alpine e in Valle Camonica in particolare. Negli anni ottanta (1982/83) questa sacra pietra di altare fu gravemente danneggiata da vandali ignoranti e imperdonabili e da allora giace mestamente semisepolta tra il muschio e la vegetazione spontanea sulla vetta del Cerreto a testimonianza della criminale stupidità umana e della mancanza di rispetto per la spiritualità e la storia. Numerose sono le testimonianze dirette di una consistente presenza umana in epoca romana e proto cristiana. Queste sono state rinvenute nel sito su cui dovette presumibilmente sorgere un antico insediamento che si trasformò poi in un primitivo borgo, posto a cavallo del passaggio obbligato sul sentiero, per chi saliva verso il passo di Corcedomini e voleva raggiungere le valli laterali. Molte le lapidi, in alcune delle quali si parla di "fonti divine" o in cui sono ricordati alcuni nomi personali, tra cui sono leggibili quelli di due fratelli, entrambi appartenenti alla VI legione romana: Caio Domizio Docile e Lucio Stanzio Secondo. Sono citati anche un Quirino Antistio, un Quirino Valerio, e il nome di una ragazza, una certa Protona. Già dal nono secolo, con le donazioni carolinge, il monastero bresciano di San Faustino prima ed il vescovo di Brescia poi, ebbero vaste proprietà in zona, tant'è che nel 841 è citato dal vescovo Ramperto un "castrum Bienni cum curte". Da questa definizione si evince chiaramente che in questa zona doveva essere stato eretto un sito fortificato o addirittura un castello con una corte, forse su una delle quattro colline che circondano il paese che dominano la bassa Valle Camonica. Di questa costruzione non si hanno altre notizie precise e non si conosce l'esatta ubicazione poiché, anche se esiste un sito interno al paese che è chiamato, anche ai nostri giorni, "'l castèl" (il castello), questo luogo nulla ha a che fare con l'antica ubicazione di un'eventuale rocca antecedente all'epoca medioevale. Giunto tardi e tra non poche difficoltà e diffidenze (gli antichi riti pagani resteranno presenti ancora per molti secoli dopo l'arrivo in valle dei primi cristiani), il Cristianesimo in Valle Camonica raggiunse una diffusione capillare in ogni borgo e nelle varie vallette e altopiani solo a partire dall'anno mille, molte volte imposto con la violenza e le armi, prima dai Longobardi e poi dai Franchi. Fu solo nel 1150 che la Pieve di Cividate, la più vasta e antica della zona, che comprendeva più di venti altre parrocchie, concesse alla cappella dei Benedettini di Bienno un proprio fonte battesimale. Era questo il segno tangibile di una rilevante presenza dell'organizzazione religiosa e politica cristiana ormai radicata tra la popolazione anche a Bienno, ma significava anche una notevole libertà amministrativa che permetteva la riscossione diretta delle decime e di alcune servitù che potevano essere gestite in loco. Il fonte battesimale con la sua indipendenza rituale ed economica, fu concesso anche come ringraziamento per i numerosi lavori eseguiti nei restauri dei luoghi di culto esistenti, dai monaci seguaci di San Benedetto. Ma questo importante privilegio (significativo anche e soprattutto sotto l'aspetto economico-politico) fu aspramente contestato fuori da Bienno tanto che il vescovo di Brescia, da cui dipendeva la Valle Camonica e di cui aveva assunto il titolo anche di "Duca della ValCamonica", revocò la concessione. I biennesi, colpiti nell'orgoglio di comunità cristiana, ma anche (e specialmente !) interessati a gestire i propri cospicui fondi, facendo leva sulle aspre rivalità tra Chiesa e Impero, come era uso in quei tempi di grande confusione di competenze e priorità tra le autorità civili e religiose, scavalcando le autorità curiali bresciane e ricorsero all'Imperatore che, in netta contrapposizione alla precedente imposizione vescovile, nel 1173 concesse l'erezione a parrocchia autonoma. Nel 1230 (narra più una leggenda che storia provata) fu l'amatissimo San Antonio da Padova in persona, in visita pastorale in Valle Camonica, a porre la prima pietra per la costruzione, su un bellissimo colle, di un Eremo che fu successivamente dedicato ai Santi Pietro e Paolo. Questo Eremo, che con la sua possente presenza domina tutta la bassa e media Valle, raggiunse il suo massimo splendore nel 1600 ma fu soppresso nel 1768 e solo nel 1964 fu ristrutturato rispettando in gran parte le originarie strutture. Pur essendo digià un paese importante intorno all'anno mille, il secolo di massimo splendore per il ricco borgo di Bienno fu senz'altro il 1400. Di questo secolo e dell'importanza raggiunta da alcune famiglie biennesi rimangono numerose tracce e testimonianze nei monumenti, nelle molte dimore gentilizie e nobiliari dalle linee classiche e nella costruzione o riattamento delle torri dell'antico nucleo medievale, certamente uno dei più belli e meglio conservati della Valle Camonica, tanto che a Bienno è stato concesso di fregiarsi del titolo di uno dei "Borghi più belli d'Italia". Questo "centro storico" è ancora, ai nostri giorni, denominato "il Castello" e si distingue per le belle torri Avanzini in via Santa Maria, Morandini in vicolo Chiuso e Rizzieri in via Contrizio. Queste torri dovevano essere, in passato, più numerose poichè Bienno era soprannominato, in Valle Camonica, "'l paìs dè le set tòr": "il paese delle sette torri". La ricchezza (abbastanza diffusa anche tra la classe media biennese), per secoli, è stata determinata dalla lavorazione del ferro, giunta fino ai nostri giorni ma particolarmente attiva nel 1600 e 1700. Questa vera e propria arte nel trattare i metalli ferrosi e le sue leghe, nota e molto apprezzata in tutta la Lombardia e il Veneto è attestata ben prima del 1467, anno in cui il Doge di Venezia dovette risolvere una furiosa lite fra i fabbri di Bienno. Esasperati dagli scontri tra le botteghe dei vari "frèr" (fabbri), gli amministratori locali, anche loro divisi e a sostegno delle principali famiglie, avevano dovuto infatti ricorrere all'altissimo arbitrato del Doge (o suo delegato) poiché inutili erano stati anche gli interventi dei notabili e dei maggiorenti valligiani, che non erano riusciti a far da pacieri. Nel 1610, il rettore veneto Giovanni da Lezze, nel suo famoso censimento della Valle Camonica (Catastico), indicava come fossero attive a Bienno ben 15 fucine, dove veniva lavorato il metallo ferroso e le numerose sue leghe per la produzione di armi ed armature e ogni altro "attrezzo" militare e civile, come padelle, lamiere varie, semilavorati ecc. Anche Bienno fu, nel Medioevo, come altri centri della Valle Camonica, teatro delle infinite e cruente lotte fra le fazioni dei guelfi e dei ghibellini e all'inizio del 1400 la locale popolazione si schierò apertamente dalla parte guelfa, capeggiata dai Nobili di Lozio, che fedeli alla Serenissima Repubblica di San Marco, si erano opposti, anche con successo, all'esercito Milanese del Duca Visconti e guidato dallo Sforza che tentava, per l'ennesima volta, di riconquistare la Valle Camonica dopo diverse vicende belliche di alterna fortuna. Anche sotto Venezia, gli "Originari" di Bienno, seguendo una tradizione molto radicata anche in altri paesi della Valle Camonica, fieri dei propri statuti e delle antiche tradizioni, tennero saldamente in mano gli organi amministrativi ed elettivi della "Vicinia", tutelando con questo i propri diritti ma salvaguardando anche i propri privilegi e le consuetudini locali, dalle pretese dei "forestieri" che volevano entrare, secondo loro, a pieno diritto nella gestione della "res publica" del paese. Questi, ormai trapiantati in buon numero nel comune, molte volte "tecnici o artigiani specializzati" in particolari lavorazioni, fecero ricorso al governo della Serenissima Repubblica Veneta, avviando numerose e, secondo loro, motivate cause per il riconoscimento dei propri diritti. I processi, le sentenze, le contro sentenze, i compromessi, i controricorsi si protrassero per secoli tanto che furono trasferiti, ancora nel 1862, dopo l'unità d'Italia, davanti al Consiglio di Stato e furono risolti solo nel 1924, dopo più di cinquecento anni… a quel punto poco importava a tutti quale era stata l'origine della diatriba !. La Vicinia era nata in contrapposizione allo strapotere e alle angherie dei feudatari locali, la Vicinia si realizzò per amministrare alcuni beni e proprietà comuni, per poi trasformarsi in un vero e proprio organo amministrativo che in seguito, subendo ulteriori modifiche, giunse a formare il primo embrione dell'entità comunale, in cui si gestivano anche proprietà in comune ma addirittura i calendari liturgici e i giorni festivi. Era retta da "Consoli" eletti ogni anno dai Capifamiglia, denominati come "fuochi" (nuclei familiari) e dai residenti denominati "Originari" e coadiuvati nelle pratiche amministrative dai "Reggenti". Compito principale (originario) era quello di regolare uno sfruttamento equo del patrimonio comune formato da boschi, segherie, forni, fucine, calchere, mulini, segaboli e dalle numerose malghe e alpeggi. Questi beni erano dati in appalto ai cittadini che ne facevano richiesta e assegnati, tramite incanti pubblici che si tenevano in piazza, la domenica, dopo la Messa Grande. Le riunioni della Vicinia si tenevano nella casa comunale e, durante il periodo invernale, per il freddo, nelle tiepide e accoglienti stalle. L'elezione dei Consoli e dei Reggenti avveniva per ballottaggio (con delle "balle" ossia delle piccole palle di pietra o legno colorato) in quanto la maggior parte degli aventi diritto al voto (i Vicini) erano analfabeti. Nelle riunioni generali venivano prese tutte le decisioni che poi regolamentavano i rapporti, non solo tra i "vicini", ma anche con la Curia, i feudatari e le comunità confinanti. Nell'elenco storico delle più antiche famiglie biennesi (gli "Originari") erano citati: Avanzini, Bontempi, Bodoncini, Bonali, Bellicini, Ercoli, Fanti, Fantoni, Fostinelli, Franzoni, Mendeni, Morandini, Sola. La millenaria storia di Bienno è sempre stata strettamente legata a quella dell'impetuoso torrente Grigna che, scorrendo da est verso ovest, costeggia l'antico nucleo abitato. Molte furono le catastrofiche inondazioni che periodicamente colpirono il paese e che vengono ricordate anche per i morti e le case o le officine distrutte. La più grave fu quella che nel 1634 provocò la morte di 17 persone, innumerevoli feriti, la perdita totale di 24 officine e il danneggiamento grave di numerose abitazioni ed edifici. Ma, pur colpiti duramente, sia l'industria che l'artigianato locale non subirono grossi rallentamenti o ripercussioni negative nella loro produzione, poichè, prima delle case distrutte, gli artigiani e gli imprenditori biennesi ricostruirono tutte le fucine danneggiate. Durante il periodo pre-Napoleonico, in piena epoca giacobina il biennese Giuseppe Fantoni si distinse, nel 1798, al comando delle colonne mobili dei "Cacciatori di montagna". Questi montanari si erano riuniti in un corpo di volontari e, infervorati e accesi dalle idee scaturite dalla Rivoluzione Francese, che erano state portate in Italia dalle truppe di occupazione francese, si raccolsero in una brigata che si pose agli ordini del governo provvisorio bresciano che era stato insediato dalle baionette francesi e dai cannoni del generale Buonaparte (non ancora Bonaparte… ne tantomeno Napoleone I) a capo dell'"Armeè d'Italie". Nel 1870 le fucine poste nel paese erano salite a 24 e in tutte vi erano in funzione più magli. L'accuratezza della lavorazione del metallo e la rinomanza di quest'arte biennese, aveva fatto in modo che si aprissero grandi e diversi mercati e fosse servita una vasta clientela anche fuori d'Italia… fin nella lontanissima Australia. Anche Bienno dovette subire la piaga dell'emigrazione e le punte massime furono negli anni 1904/1905 quando ben 214 Biennesi, su una popolazione di 2085 residenti, se ne andarono da casa e poi ancora negli anni dal 1946 al 1960: su 3292 residenti furono ben 911 quelli che emigrarono, molte volte all'estero e in paesi lontani. Bienno negli ultimi anni, dopo un periodo di declino a cavallo del 1800 e primi anni del 1900 in cui si presentò pesante anche la piaga dell'emigrazione e dopo la chiusura (anche in paesi vicinori) negli anni '80 del secolo scorso, delle fucine e di alcuni stabilimenti industriali, ha riscoperto il proprio passato valorizzandolo turisticamente con manifestazioni legate al mondo della lavorazione del ferro. Mostre, cicli di conferenze e visite guidate delle scolaresche sono ormai una radicata consuetudine. Con un tour organizzato, denominato "La Valle dei Magli", già dal 1990, è stato predisposto un interessante percorso tra le antiche "officine" del ferro in cui si può ancora ammirare la lavorazione del materiale sotto i possenti magli mossi dalle grandi ruote dei mulini ad acqua. Ai nostri giorni sono ancora in molti, quelli nati nella prima metà del 1900, a ricordare come fino a non molto tempo fa risuonava in tutta la zona il sordo e intervallato rumore dei magli che per secoli è stato l'accompagnamento sonoro della lunga storia di questo industrioso paese e questi "tonfi" cadenzati sono rimasti indelebile colonna sonora (nell'identificare Bienno nei ricordi personali) anche per il sottoscritto quando, da bambino, negli anni 50 e 60, andavo a trovare mio padre che lavorava in banca a Bienno. DA VISITARE: Come scritto nel paragrafo precedente (storia di Bienno) molti sono gli edifici civili e religiosi degni di menzione come le Torri medievali: Avanzini, Morandini, Rizzieri. La costruzione di queste opere, sorte a difesa delle famiglie più importanti del paese e dei loro beni, risalirebbe forse addirittura a prima del 1400: si trovano tutte concentrate nell'antico nucleo medioevale del paese che prende il nome significativo di "Castello". Il Palazzo Simonini-Fè d’Ostiani, ora scuola materna, è composto da due distinti spazi costruttivi: un primo corpo, quello più antico, risalente al 1500, ha una grande cucina con camino, il secondo piano si caratterizza con un grande salone affrescato e anch'esso è dominato da un bel camino. Un secondo corpo fu ampliato nel 1800: le caratteristiche architettoniche sono state riprese seguendo i parametri del primo stralcio (del 1500) ed è caratterizzato dalla sua notevole mole esteriore che lo rende imponente. Il Palazzo Francesconi Rabajoli, in via San Benedetto, è costituito da due case signorili contigue e formanti un corpo unico, risalenti al 1500. Degni di menzione sono gli interni, una loggetta e degli affreschi attribuiti al Fiamminghino. Altre abitazioni signorili sono ubicate in via di Mezzo: casa Panteghini, in via Contrizio: casa Bettoni-Morandini (notevoli il porticato e una loggia formata da cinque piccole campate), in via Luzzana Superiore: casa Franzoni, in via San Benedetto: casa Rizzieri-Pedretti e in via Re: casa Bonaldi-Vezzoli: quest'ultima dovrebbe essere la più antica tra queste dimore signorili del centro strorico e la sua origine risale sicuramente al medioevo con aggiunte parzialinei secoli successivi. La Fucina attiva (solo con guida): è la testimonianza concreta della tradizione e della fatica dei camuni (e Biennesi in particolare) che fin dall'antichità si erano dedicati alla forgiatura del ferro. Da seguire con attenzione la dimostrazione che si concretizza con la spettacolare ed unica coordinazione tra i pesanti colpi del maglio e l'abilità del "maister": da questa unione il ferro amorfo ha sempre assunto una forma ben precisa. Il Mulino: è ancora in funzione questo antico mulino ad acqua, risalente al 1400. Sono state mantenute con fedeltà e precisione le caratteristiche architettoniche del tempo in cui fu edificato ed entrò in funzione: il soffitto ad involto e il pavimento in ciottolato. All'interno le macine con il loro lento e perpetuo moto creano quell'atmosfera irreale del tempo passato, coprendo ogni cosa con un sottile manto di impalpabile farina. Il Museo Etnografico del Ferro: è stato concepito per ricordare la tenacia, l'ingegnosità e il lavoro dei fabbri biennesi. Era una fucina "cavadora" dove venivano forgiati secchi e padelle. Il maglio era preparato per questa lavorazione con una bocca cilindrica. All'interno vi sono pannelli esplicativi che ricordano la ferrarezza. La Chiesa di Santa Maria Annunciata è un interessante esempio di architettura gotico-rinascimentale costruita su un preesistente luogo di antichissimo culto pagano. La facciata è arricchita da un bel portale a sesto acuto in marmo di Vezza d'Oglio rifinito in pietra Simona. L'interno è interamente affrescato dal Romanino (Lo Sposalizio della Vergine e La presentazione di Maria al Tempio) e da Pietro da Cemmo e da altri pittori della sua scuola. La Chiesa Parrocchiale anche questo edificio è sorto su una preesistente costruzione, forse una fortificazione militare, come testimonia la torre merlata, trasformata poi in campanile. Sulla facciata principale spicca il grande portale in arenaria ornato da colonne con capitelli corinzi ai cui lati si trovano due nicchie che ospitano le statue dei patroni SS. Faustino e Giovita. Queste statue, di pregevole fattura, sono attribuite al Simoni. All'interno sono visibili degli affreschi del Fiamminghino. Sono ben sei le piccole cappelle laterali che sono chiuse da belle cancellate in ferro battuto opera dei maestri del ferro biennesi del 1600. Il Santuario di Cristo Re Re è un imponente monumento sorto in ringraziamento per la fine della prima guerra mondiale. È situato sul colle della Maddalena da cui si domina tutta bassa Valle Camonica e i paesi sottostanti, da Cividate, Malegno fino all'alto Sebino e anche con una vista verso la media Valle Camonica, da Breno e Cedegolo: una posizione straordinaria posta proprio al centro della Valle. La statua del Cristo Re raggiunge un'altezza di metri 10,30 con un'apertura braccia di metri 8. Venne costruita da Timo Bortolotti in bronzo e rame e coperta da 5 kg. di oro zecchino. I lavori iniziarono nel 1929 e terminarono nel 1931. Il Santuario di Santa Maria Maddalena è a cavallo del Colle di Cristo Re e risale al 1400. Contiene affreschi cinquecenteschi e, nella cappella del Santo Sepolcro a fianco della chiesa vi è un gruppo di statue lignee, opera di Beniamino Simoni, così come il Crocifisso di un'altra cappella. Nella cappella della Piscina sono visibili statue lignee del primo 500 ed affreschi, del 1516, attribuiti a Maestro di Nave. La chiesetta di San Pietro in Vincoli: è un bel tempio campestre e sembra che un tempo servisse da piccolo ospizio e riparo dalle intermperie per i viandanti, grazie al portico posto davanti all'edificio. Chiamata anche San Pietro Zucco perché nata come torre di avvistamento venne mozzata (zuccata). La Chiesetta di San Defendete fu edificata nel 1400. Conteneva quella "Madonna con Bambino fra i Santi Carlo e Defendente" che è attribuita a Palma il Giovane, attualmente questo bel dipinto è conservato nella casa parrocchiale. L'Eremo dei Santi Pietro e Paolo, la cui prima pietra sarebbe stata posta, secondo la tradizione, da Sant'Antonio da Padova nel 1230. L'eremo, che raggiunse particolare splendore nel 1600, fu soppresso sotto Venezia nel 1768 e cadde in una situazione di abbandono. Dal 1964 è stato totalmente ristrutturato e riportato agli antichi parametri rispettando le strutture originarie, come il chiostro con al centro la grande cisterna. In una sala si conservano affreschi quattrocenteschi provenienti forse dall'antico refettorio. Ora è luogo anche di convegni, incontri sia a carattere religioso che culturale. Il Santuario di San Glisente, sorge sull'omonimo monte a quasi 2.000 metri di quota (1956 m. slm). Conserva in ottimo stato la sua originaria cripta, forse del 1300 (o forse antecedente: secondo la tradizione popolare addirittura di epoca Longobarda o Carolingia) formata da due locali a pianta irregolare di cui il più vasto è diviso in tre piccole navate con volte a crociera che poggiano su delle basse colonne di granito. Da ricordare la leggenda dei tre fratelli Glisente, Fermo e Cristina che avevano il loro ritiro su tre monti della Valle Camonica e che comunicavano tra loro con dei falò serali. E' una bota (storia) che tutti i bambini di Borno, Lozio, Berzo e Bienno conoscono bene anche se in diverse (solo di alcuni particolari) versioni. Si tramanda che al seguito di Carlo Magno erano venuti a combattere contro i Longobardi, i Giudei e i pagani del nord - Italia, tre fratelli di una nobile famiglia germanica provenienti dalla Selva Nera: erano Fermo, Glisente e Cristina. Tre cavalieri che avevano accompagnato il re franco in tutte le sue battaglie e erano tra i conquistatori della Valle Camonica. Stanchi di combattere e nauseati dagli orrori della guerra, i tre supplicarono re Carlo di poter lasciare l'esercito per diffondere la fede cristiana con l'esempio e non con le armi. Ottenuto il consenso, operarono una profonda conversione e decisero di dedicarsi alla vita ascetica, ritirandosi su tre differenti alture per pregare, vivere una vita contemplativa di penitenza. Glisente scelse come suo romitaggio un colle della Val Grigna, Cristina una zona impervia della Concarena in Val di Lozio e Fermo un'altura che dominava l'altopiano di Borno. I tre siti si trovavano all'incirca alla medesima altitudine permettendo una comunicazione visiva. Al momento di lasciarsi i tre fratelli si accordarono che ogni sera avrebbero acceso un falò per segnalare la loro presenza. Dopo alcuni anni i genitori dei cavalieri, venuti a conoscenza della vita che i tra stavano conducendo, inviarono dei messi a cercare i loro figlioli, ma non avendo saputo alcuna notizia, pensarono che fossero deceduti nella battaglia del "Mortarolo". Cristina era la più solitaria dei tre, non amava farsi vedere e parlava solo con gli animali. Un giorno però, dei pastori scovarono la grotta in cui si era rifugiata e si avvicinarono per conoscerla, ma lei per sottrarsi all'incontro spiccò un volo cadendo illesa ai piedi della Val Baione dove cercò un nuovo nascondiglio. Dopo quel salto prodigioso il suo falò non fu più visto da Fermo ma solo da Glisente che per mezzo di un'aquila comunicò al fratello che Cristina aveva cambiato dimora. L'aquila rimase poi con Fermo per fargli compagnia e per procurargli dei favi di miele. Cristina che ora si trovava molto più in basso, per non farsi riconoscere, si copriva con pelli di capra e quando cantava le lodi divine gli animali della montagna si avvicinavano ad ascoltarla scambiandola per una di loro. Una sera Glisente non vide più scintillare il falò di Cristina e all'indomani si recò con Fermo in Val di Lozio. Uno stormo di uccelli indicò ai due fratelli dove si trovava il corpo della sorella che giaceva immobile su un tappeto di fiori vegliato dai suoi fedeli animali. Quindi la seppellirono degnamente e più tristi che mai tornarono ai loro rifugi. Dopo qualche giorno nel luogo dove Cristina era sta sepolta, da una roccia, iniziò a sgorgare dell'acqua medicamentosa. Trascorsi alcuni anni anche Glisente morì e venne sepolto dai pastori nella cella della sua spelonca. Fermo, ormai vecchio e malato non potè far visita al fratello e continuò ad essere assistito dall'aquila che per intercessione divina era anche aiutata da un'orsa che lo riforniva di legna e di selvaggina. Quando morì alcuni mandriani e pastori del posto rinvennero vicino al cadavere del santo l'orsa che guaiva per la morte del suo padrone. La leggenda non fa menzione del luogo di sepoltura di Fermo ma si limita a dire che il suo corpo fu trasportato a valle. Tutti e tre gli eremiti morirono in concetto di santità e dopo qualche tempo iniziarono a compiere miracoli per cui le popolazioni di Borno, Lozio e Berzo edificarono a ciascuno di loro una chiesetta proprio sui luoghi del romitorio, iniziarono una secolare venerazione. LOCALITA’ COMUNALI: (Molte delle località di seguito riportate forse non sono più presenti nella memoria delle nuove generazioni o nelle carte, o nei contratti notarili o nei testi contemporanei. Alcune risalgono, nella loro identificazione, a molti secoli addietro, altre hanno mantenuto intatto la loro localizzazione e il loro nome passando di proprietà in proprietà, altre ancora, anche ai nostri giorni, sono presenti in carte catastali, in contratti di compra vendita o semplicemente nella parlata di tutti i giorni). Arcina (Arshìna) spiazzo prativo posto a m.1.613, lo stesso nome è anche riferito ad una piccola valle tributaria della Grigna, torrente che passa per Bienno, per poi entrare nell'Oglio a Esine. Il toponimo potrebbe derivare da "arshìa", che è il nome dialettale della beccaccia, uccello diffuso in valle, oppure da "arshì" (scricciolo). Bazena (Baséna): località montana sopra la quota 1.760 che comprende fin dall'antichità, alcune malghe ed un laghetto sul fianco destro della Valle delle Valli (m.2095), tributaria del torrente Grigna a Bienno. È probabile derivi dal vocabolo "basia" o dalla voce dialettale "bàsgia" (grande scodella): tutta la zona ma in particolare il laghetto, somiglia moltissimo ad una conca. Non è comunque da escludere che il nome derivi da una contrazione dialettale di "basièna", derivato sempre da "basia" e con identico significato. Bodrello (Bodrèl) a m.1.732: monte a sud di Bienno, tra la Valle della Grigna e quella dell'Inferno. È assai probabile, vedendo la sua conformazione morfologica, che prenda il nome dalla voce "bodrèl", forma diminutiva di "bodrio", da "butrium" (voce prelatina) che stava ad indicare una voragine, una gola profonda o un dirupo chiuso e umido (dal greco "bothros"). Calvario (Calvario) a m.501: zona posta a nord-ovest di Bienno di fianco al Grigna. Alla base del monte, che fa da corona a questa zona, rivolta verso sud si trova San Pietro in Vincoli con due chiesette: forse per queste caratteristiche costruzioni religiose presenti fin dall'alto medio-evo, si pensa che il nome derivi, per tradizione popolare, da quello del celebre Monte (Calvario) di biblica memoria. Casinetto (Casinèt) a m.1.500: località a sud-est di Bienno nel fianco destro di Val della Grigna. "Casinèt" vuole dire letteralmente "piccola cascina" ma con lo stesso termine si poteva anche indicare quel luogo (la parte più fresca di una baita) in cui venivano stipate le riserve alimentari e i prodotti della malga (una specie di dispensa o frigorifero antico). Casina (Casina) a m.1.431, su alcune vecchie mappe catastali risalenti al 1700, era segnata una "casìna ègia" (cascina vecchia) a sud-est di Bienno, sul versante destro della Valle della Grigna. "Casìna" è sinonimo di cascina, etimologicamente indica il luogo dove si fa il cacio, ma è, da secoli, entrata nella parlata comune con il significato di edificio montano o rurale dove si ricoverano e si accudiscono le vacche. Casinone (Casinù) a m.1.760: località a sud-est di Bienno posta sulla sinistra della Valle Ione, confluente di quella del Travagnolo. Questa voce è diffusissima in tutti i comuni della Valle Camonica e di norma indicava costruzioni rurali o cascine più grandi del solito o con stalle che potevano ospitare molti capi di bestiame. Cereto (Sherèt) a m.600 era localizzata, su delle antiche mappe militari, una località detta "Cereto" che prendeva il nome dal sovrastante Dosso del Cerreto (m.881) posto a nord-est di Bienno e visibile da tutta la bassa Valle Camonica. In antichità la sommità di questo monte doveva essere luogo di culto (vedi Storia del comune di Bienno). Il vocabolo deriva sicuramente da "cerrus" (quercia ghiandifera, albero molto diffuso nella zona fin dai tempi più antichi). Corni (Còren). nel fianco destro di Val della Grigna, a sud-est di Bienno, si trova una località montana, al di sopra del limite dei boschi, denominata "Corni Rossi", posta circa a 2.000 metri. Dosso (Dòsh) : su vecchie mappe catastali del periodo della dominazione della Serenissima Repubblica Veneta, sono segnate, a m.464 una "cascina del Dosso" ed a m.1.755 una "malga Dosso Santo" poste tutte e due tra la Valle Ione e quella di Figarolo a sud-est di Bienno. Il nome, molto diffuso ovunque sull'arco alpino, deriva da "dorsum" (dosso), che in montagna indica una cima o un poggio. Faisecco (Faishèch) a m.1070: a m.1.070: località in cui era segnata, fin da tempi abbastanza remoti, una malga nel versante sinistro di Valle Grigna a sud-est di Bienno. "Faia" identificava un bosco di faggi. Questa località dunque era detta "faggio secco" da "fagus" e da "sèch" (secco). Figaròlo (Figaröl) a m.1.915 erano segnati, su antiche mappe militari del periodo pre napoleonico, un "Dosso Figaròlo" a sud-est di Bienno, e una "Valle Figaròlo" a nord del Dosso, tributaria del fiume Grigna. Etimologicamente potrebbe essere una derivazione del termine "figàro" che in Trentino significa fico. Fiora (Fiùra) a m.2154:: "Dosso della Fiora" a sud-est di Bienno, a nord del monte Colombine tra le Valli Ione ad est e Grigna a sud-ovest. "Fiùr" in dialetto camuno è il fiore, ma la "fiùridüra", sempre in dialetto, non è solo la fioritura della flora ma pure del latte (per esempio la ricotta è detta: "'l fiurìt del làt": il fiore del latte). Comunque questo dosso, segnato anche su antiche mappe militari dell'800, è noto per la rigogliosa fioritura dei prati nei mesi primaverili ed estivi. Fiorito (Fiorìt) a m.1.891 era segnato uno "stàbol Fiorit" sul versante destro della Val della Grignetta a sud-est di Bienno. "Fiorìt" in dialetto è la ricotta e lo "stàbol" è anche uno dei vari sinonimi, con cui era chiamata una baita o una cascina. In questi edifici era uso anche cagliare e fare formaggi (vedasi voce precedente). Fles (Flésh) a m.1.075 è localizzato il "Monte Fles", a sud -est di Bienno, sul versante sinistro di Val delle Valli. Sulla cima passa un tortuoso e spigoloso confine di comuni, che non segue perfettamente l'orografia del terreno. Il vocabolo "Fles", deriva dal trentino, da "flexus" (curva). In definitiva vorrebbe dire "curva di confine". A quota più bassa, fin dal secolo scorso, erano localizzate due malghe dette "baite Limen". In latino "limen" è la soglia e "limes" è il confine (forse il nome deriva dalla vicinanza dei confini comunali prima citati). Forme (Fürme) a m.1.289 era segnalata una "malga de la àl de le fürme" (malga della valle delle forme) a sud-est di Bienno, sul fianco destro di Val della Grigna. "Fürma" può essere la sottile lamina di legno, curva, che serve a dare la classica struttura circolare alle "forme" di formaggio. In dialetto locale "fürma" è anche la parte del latte dopo la scrematura e dopo la prima lavorazione: questa pasta viene messa a riposo nei "cansinèt" delle cascine o malghe perché col tempo prenda la consistenza di un tenero formaggio. Giubellina (Gibilina) : : a m.1.700 si trova la "Val Giubellina" nelle cui vicinanze era segnata una cascina a sud-est di Bienno, tra la Val della Grigna e la sua confluente Val Gabbia. Forse potrebbe derivare (in modo molto incerto, ma non sono state trovate altre versioni accettabili) da "Ghibellini", nome di una delle fazioni politiche in cui nel medioevo era divisa l'Italia e che erano presenti anche nella Valle Camonica (vedesi la Storia locale). Laghetto (Laghèt) a m. 1.882: località a sud-est di Bienno sul fianco destro di Val della Grigna. "Laghèt" è il diminutivo di "lagh" o "lac" (lago). Questo sostantivo è usato, anche piuttosto diffusamente, per indicare, in molti comuni della Valle Camonica, alcune piccole pozze d'acqua in cui si abbeveravano le mandrie all'alpeggio. Lavena (Làena) a m.1.722, località su cui sorgeva già nel 1700 una malga per l'alpeggio a sud-est di Bienno, sul fianco destro della "Al Làena" (Valle Lavena). In latino "labes" (frana o zona franosa). Limen (Lìmen) a m.1.513 e m.1.431: "Malghe Limen" di sopra e di sotto, erano a sud-est di Bienno, sotto il monte "Fles". Per il monte Fles passa un antico confine di comune, infatti "Limen" voce latina (confine). Lot (Lòt) a m.603 era segnata una località chiamata "plagna del lòt", a sud di Bienno, presso la riva sinistra della Grigna. "Lòt" (lotto) è voce dialettale, molto diffusa in tutta la Valle Camonica, che indica una delle parti in cui è divisa una sostanza, un terreno, una proprietà o un complesso di cose. "Lotti" erano, nel medio evo, le particelle di terreno, concesse a privati a titolo precario o definitivo derivanti dalla suddivisione, per sorteggio, di proprietà comuni. Maj (Mai) a m.1.810: località a sud-est di Bienno sul versante destro dell'alta Val della Grigna, a nord del monte Colombine. "Maj" è cognome in provincia di Brescia e Bergamo e presente anche in Valle Camonica. "Mai" poteva anche identificare il maglio di una fucina (ma non si hanno indicazioni che confermino che in loco - e a quota tanto elevata -sorgesse un'officina per la lavorazione del materiale ferroso). Mano (Manòs) a m.2.019 è indicato, su carte catastali risalenti al 1750, la cima di un "Dosh Manòs" sulle cui pendici era segnata anche una "casina Manòs" (a m.1.882) a sud-est di Bienno nell'alta Val della Grigna, a nord del monte Ipoferrate. Merlo (Merlo) a m.1.413 era localizzata una "Piàza Merlo" (piazza merlo). Si tratta di un sito pianeggiante a sud di Bienno nel fianco destro della Val Renina. Probabilmente il nome è preso dal sostantivo "mèrlo" che indica, anche in dialetto locale, il noto volatile. Merlo però è anche cognome abbastanza diffuso in provincia di Brescia, dunque non è escluso che si faccia riferimento ad antichi proprietari che portavano questo nome. Mezzo Breno (Mesabré) a m.600: località a ovest del vecchio nucleo abitato di Bienno, posta nei pressi del confine con il comune di Breno. Moiette (Moiète) località a m.863, sul versante sinistro di Valle Grigna a sud-est di Bienno. In questo sito erano segnate, già all'inizio dell'900, delle cascine sul fianco sinistro del torrente Grigna a m 870. Nessalveno (Neshalvé) a m.704: sito posto a sud dell'abitato di Bienno nel versante sinistro della Val Grigna. Paier (Paér) a m.2.175 si trova il "Dosso Paér" posto a sud-est di Bienno ed a nord-est del monte Colombine di Collio. Deriverebbe dal vocabolo "Paér" (pagliaio). Paraviso (Paravish; Paraìsh) a m.1.032: nel versante destro della Val Grigna a sud-est di Bienno era segnata, su mappe risalenti al 1750, una piccola "Santella di Paraviso" che deriva dal vocabolo "Paravis" (paradiso), forse per ricordare un dipinto murale che la adornava. San Gallo (Shan Gàl) a m.2.062: monte a sud-est di Bienno, tra la Valle Ione e quella di Arcine. Santella (Shantèla) a m.1.032: era segnata su una mappa catastale già nel 1700 una "Santella" o cappelletta di piccole dimensioni che dava il nome anche alla località dov'era posta. Questi piccoli e tradizionali punti di preghiera risalgono al medio evo e se ne trovano in gran quantità un poco ovunque, la località che specificatamente prende questo nome in questo comune è poco sopra Bienno in Val della Grigna. Seza (Shésa) a m. 1.339 e m. 1.157 nel fianco destro di Val Travagnolo erano segnate, su antiche mappe, le località "Séza di sopra e di sotto" a sud-est di Bienno. La "sesa" era quello scalino artificiale di tronchi che, collocato in punti strategici, di solito a fianco delle mulattiere, permetteva di caricare (o scaricare) dai carri quanto su di essi doveva essere posto o levato. Di solito erano scalini usati per caricare i trochi degli alberi abbattuti. Siltro (Shiltèr) a m.1.228 è rilevata una piccola valle nel fianco sinistro della Val Grigna. Lo stesso nome è dato anche a due altre località dette "Siltro di Faisecco" che erano poste a sud-est di Bienno e a m.1770 di quota, a sud del monte San Gallo. "Shiltèr" è la vòlta del palato, ma è anche sinonimo di caverna o cavità naturali. Erano questi i luoghi in cui i mandriani serbavano, durante i mesi estivi, il latte e i suoi prodotti, ora Silter identifica, ai nostri giorni, anche un noto formaggio a origine controllata tipico della Valle Camonica e dell'alto Sebino. Simoni (Shimòni) a m.1.030 era segnata, su una vecchia carta militare, sul versante destro di Val Grigna, una piccola fortificazione o un edificio fortificato di antica costruzione posto alla sommità di un'altura a sud-est di Bienno. "Simoni" è cognome in provincia e la rocca aveva certamente preso il suo toponimo dal nome della famiglia proprietaria. Travagnòlo (Traagnòl) :oltre al nome di un torrente è il toponimo di una località "Tràagnòl" che è posta a m 1.481 a sud-est di Bienno. Si trova alla confluenza della Valli Ione e Figarolo e appunto del torrente Travagnolo, sul versante destro della Valle Figarolo. Il nome deriverebbe da "travate": quei particolari tronchi che si squadravano o che si rendevano lisci e che in un passato, anche recente, venivano usati per far scendere a valle, come un grande scivolo, il legname tagliato nei boschi e sgrossato in quota. Valle dei Campi (Val; Àl de i càp) a m.810: valle dei Campi, località a nord-est di Bienno sotto il Dosso del Cerreto. |