Stemma Capo di Ponte Bienno
CAPONTINI (Patrìçç):
2.525 (anno 2012)
SUP. COM. Kmq : 18,5 H.m.: 426 s.l.m. Prefisso Tel.: 0364
Da BRESCIA e BERGAMO
Km.
18,5
Da MILANO
km.
128
FRAZIONI
Cemmo, Pescarzo
CAP. : 25040


Le Immagini del Paese
La chiesa di San Salvatore
Panorama del Paese (65,1 K)
La chiesa di San Siro a Cemmo
La Pieve di S.Siro e l'Archeodromo
Pescarzo di Capo di ponte
IL NOME:
Capo di Ponte (Có de Pónt - Có de Pùt) - l'etimologia è tra le più semplici e diffuse (sia in Italia che nella vicina Svizzera: Co de Pont è un borgo vicino a Sant Moritz) e si riferisce alla posizione, a "capo" di un ponte. Un ponte doveva esserci in zona da tempi antichissimi che doveva collegare le due rive del fiume Oglio alla confluenza del torrente Glegna.


LA STORIA :

    La zona della media Valle Camonica, ai piedi del monte Concarena, che attualmente ricade sotto l'amministrazione di Capodiponte con la sua antichissima frazione di Cemmo è stata definita la capitale mondiale delle incisioni rupestri. Fino ai nostri giorni ne sono state scoperte a centinaia di migliaia: sono analizzate, studiate, fotografate, filmate, catalogate e pubblicate, ma ancora centinaia di migliaia sicuramente dovranno essere scoperte in un sito che doveva essere il "cuore" di quel grande luogo sacro, che era la Valle Camonica per gli antichi: da considerarsi come uno dei grandi Santuari naturali della Preistoria. É ormai accertato che i primi insediamenti umani nella zona iniziarono intorno all'8000 a.C. (anche se di recente questa datazione potrebbe slittare, dopo studi e ricerche degli ultimi anni, ancora indietro di altre migliaia di anni), dopo il ritiro, a quote più elevate, dei grandi ghiacciai che avevano per millenni ricoperto la Valle Camonica e le altre valli, fin ben oltre i primi contrafforti delle Alpi.
    Era quel periodo climatico della storia del nostro pianeta chiamato "Atlantico", in cui, dopo i grandi freddi, facilitata da alte o più miti temperature, si era sviluppata una folta vegetazione e per questo, trovando facili pascoli e rifugi, gli animali si erano spostati dalle pianure anche nelle valli e a quote più elevate.
    Inseguendo e cacciando la numerosa selvaggina che doveva stanziare nelle fertili boscaglie della valle, alcuni sparuti gruppi di uomini (appartenenti al ceppo dei Liguri), prima formati da cacciatori stagionali trasformandosi poi in gruppi stabili e residenti, scelsero quest'area per insediarsi in modo stabile.
    Una zona suggestiva e intrisa di magici fenomeni naturali che agli occhi dei nostri progenitori potevano avere il significato del soprannaturale e del divino. La grande sacralità che evidentemente emanava in questi siti è forse attribuibile anche ad un fenomeno atmosferico spettacolare e particolare chiamato "Spirito della montagna". Si tratta di un fenomeno naturale e (ora) ben spiegabile: è la rifrazione inconsueta, imponente e suggestiva che in certi ben precisi giorni, i raggi solari creano intorno al massicico del Pizzo Badile, ma specialmente, al tramonto, dietro i picchi della Concarena, in una atmosfera carica di umidità sospesa intorno alle due cime. Questo provoca la proiezione di una immensa ombra, grigia o blu, che sembra scaturire dalla montagna stessa proiettandosi verso il cielo. L'effetto ottico, bellissimo e affascinante, doveva essere ricolmo di grandi significati spirituali e anche sconvolgente per gli antichi abitanti o frequentatori della zona.
    Per questo gli antichi Camuni cercarono di trasmettere, con il loro incidere le levigate rocce, lasciate scoperte dai ghiacciai, tutta l'importanza che aveva per loro questo luogo incantato e perciò rimarcare tutte le valenze sacrali di grande richiamo mistico con le logiche paure, le ansie e le suggestioni ben comprensibili e emotivamente rimarcabili.
    Alcune figure incise risalgono al Paleolitico (dall'8000 al 4000 a.C.) addirittura prima dell'avvento delle forme più semplici di agricoltura e cioè dove venivano ancora raccolti direttamente i frutti selvatici dalle piante.
    Altri graffiti, molti sovrapposti alle immagini precedenti, sono datate al periodo Neolitico (dal 4000 al 2800 a.C.). Questi "graffi alle nostre rocce" rappresentano oggetti, simboli, figure antropomorfe legate alla caccia, all'agricoltura, alla religione e potrebbero esprimere forse anche degli stati d'animo. Nell'Eneolitico (dal 2800 al 2000 a.C.), quando anche in Valle Camonica si perfeziona e si specializza l'agricoltura (irrigazione diretta e terrazzamenti) e inizia la lavorazione dei metalli, compaiono le prime scene narrative, formate dalla sequenza di più figure collegate tra loro nelle stesse azioni. Nell'Età del Bronzo (dal 2000 al 1000 a.C.) le incisioni si trasformano radicalmente e diventano meno simboliche e più imitative della realtà quotidiana pur riproponendo ancora una forte religiosità legata alla terra, ma, anche in questo periodo di un migliaio di anni, sono ancora numerose le scene di caccia e di vita quotidiana.
    Gli studiosi hanno accertato e studiato il metodo che veniva usato per incidere più o meno profondamente le rocce: questo avveniva battendo ripetutamente, con colpi successivi dati con diversa forza, sulla superficie dei grandi massi resi lisci e levigati dallo strofinamento con altri massi provocati dal movimento dei ghiacciai. Questo metodo di "lavoro" o di "rito" era compiuto (forse da sacerdoti o da incaricati dalle collettività) con pietre di pari durezza (non se ne trovavano in zona di altro tipo), però, quelle usate dall'uomo erano rese più efficaci a causa della maggiore convessità dovuta alle loro minori dimensioni.
    Nell'Età del Ferro (dal 1000 a.C. alla dominazione romana, nel I secolo avanti Cristo) avvenne un vasto sconvolgimento sociale dovuto alla scoperta e allo sfruttamento di alcuni giacimenti di metallo ferroso. Ne furono rinvenuti molti in quasi tutta la Valle Camonica e anche nei pressi di Capodiponte. Questo attirò subito un notevole interesse commerciale. Si affacciarono all'imboccatura delle valli alpine i Celti che ben presto andarono a sovrapporsi ai Liguri e ne soppiantarono la primitiva forma sociale. Ma anche i nuovi dominatori restarono indubbiamente affascinati dai prodigi naturali e "adottarono" molta della spiritualità locale.
    Altri popoli, provenienti dall'Italia peninsulare ma anche dal centro Europa vennero a contatto con gli abitanti della Valle Camonica e questo provocò, anche se molto lentamente, la creazione di un mondo completamente diverso nei rapporti umani fino allora presenti nel microcosmo valligiano.
    L'influenza di questi contatti si ripercosse anche sulle incisioni rupestri.
    La millenaria cultura del primitivo Popolo Camuno decadde in modo lento ma progressivo a partire proprio dall'arrivo dei Celti, all'inizio del sec. IV a.C., anche se, se pur in forme minori, proseguì pure sotto la conquista dei Romani, la successiva cristianizzazione e in epoca successiva, fino al medio evo. La tradizione di incidere la roccia infatti è provato che si protrasse anche dopo l'imposizione del Cristianesimo, che comunque fu obbligato, come ogni altra religione che si integra su un tessuto religioso precedente, ad adottare alcune delle forme esteriori e simboliche più antiche adattandole alla sua dottrina.
    Il primo studioso che rese noti agli ambienti scientifici mondiali la presenza delle incisioni rupestri (dette in dialetto locale "pitöti") fu il professor Gualtiero Laeg, che segnalò questo immenso patrimonio culturale partendo dai Massi di Cemmo, zona in cui doveva essere localizzato il più antico insediamento abitativo di questa zona della Valle Camonica. Il fondo valle, come per quasi tutta la bassa e media Valle Camonica doveva essere una malsana e vasta palude che dipartiva dalle sponde del fiume Oglio e si estendeva fino alle prime pendici delle scoscese montagne e per questo motivo tutti primi gruppi di abitazioni sorsero non sul fondo valle ma in posizioni dominanti (anche per questioni difensive) o a quote elevate. Solo a partire dall'800 e per non meno di tre secoli, fino circa all'anno mille, i monaci di Tours prima e i Cluniacensi poi, che avevano ottenuto da Carlo Magno vastissimi possedimenti e diritti in Valle Camonica, bonificarono le pianure alluvionali che erano da contorno all'Oglio e al Lago d'Iseo che doveva estendersi ben più a nord dell'attuale bacino e anche la piccola pianura alluvionale nei pressi dell'attuale nucleo di Capo di Ponte venne bonificata e resa fertile come anche, si iniziò la coltivazione intensiva delle pareti delle pendici della Concarena creando piccoli spazi piani con dei terrazzamenti (giunti fino ai nostri giorni).
    A lungo, dopo l'anno mille, Cemmo mantenne una notevole importanza sia politica che religiosa tant'è che nel XII secolo fu sede del Podestà di Valle: questi aveva vaste funzioni amministrative e giudiziarie. Nel 1300 e per buona parte del secolo successivo, Cemmo restò il capoluogo di una delle contee più popolose della Valle Camonica. Tra i Conti che ebbero sede a Cemmo una particolare menzione deve essere fatta per quel Boccaccino della Torre, che fu nominato nel 1413 alla più alta carica amministrativa del Ducato: Podestà di Milano. Boccaccino ricevette questa importante carica, che prevedeva laute prebende e alti titoli, in cambio dell'aiuto prestato ai Visconti nella lunga (e con alterne fortune) guerra contro la Serenissima Repubblica di Venezia.
    Nel 1430, abbandonando disinvoltamente la politca del congiunto, con notevole disincanto politico, classico dell'epoca, il conte Bartolomeo della Torre fu uno dei primi e principali sostenitori, in Valle Camonica, delle truppe venete, che strapparono tutte le valli bresciane ai milanesi, dopo numerose scorribande, scontri, assedi e battaglie.
    Questo rese la contea di Cemmo ancor più importante, visti anche i vari benefici ed esenzioni che vennero accordati da Venezia alle principali famiglie locali che si erano schierate dalla sua parte. La giurisdizione amministrativa dei nobili locali fu ampliata anche territorialmente e una certa floridezza economica del borgo durò abbastanza a lungo, al contrario di molti siti del resto della Valle Camonica.
    Nel frattempo si era sviluppata e si era notevolmente ingrandita, a fondo valle, la frazione di Capodiponte: questo ampliamento portò nell'ambito comunale, dal XVI secolo, al logico decadere della "supremazia" politica e amministrativa di Cemmo. A testimonianza dell'antico splendore del vecchio borgo cemmese restano tuttavia numerosi monumenti, specialmente alcune belle e imponenti chiese ed alcuni edifici civili.
    Abbiamo già scritto a più riprese in altri capitoli della Storia della Valle Camonica, delle numerose e importanti miniere di materiale ferroso che costellavano le montagne camune e sfruttando questa prerogativa sorsero, anche a Capo di Ponte, numerose fucine, collegate ad un forno fusorio, che lavoravano anche il materiale che giungeva dalla vicina Val di Scalve, in cui l'attività estrattiva e lavorativa risaliva ad epoca preistorica.
    Moltissimi erano i Camuni occupati direttamente nel settore metallurgico ma altrettanti lo erano indirettamente per la produzione di carbone che raggiunse ragguardevoli quantità dato che era elemento fondamentale nel processo fusorio e nella composizione delle leghe metalliche.
    Anche le varie attività commerciali e artigianali, che erano fiorite nella zona, davano una certa occupazione e un discreto reddito (che come nel resto d'Italia fino al XX secolo era comunque sussidiario alla principale occupazione: l'allevamento del bestiame e l'agricoltura). A partire dalla dominazione veneziana si annoveravano (oltre alle già citate fucine) anche alcune filande e diversi mulini. A Capodiponte funzionava da tempo, ed era molto nota anche fuori dalla Valle Camonica, una fabbrica di cappelli che lavorava direttamente la lana che circa 500 pecore allevate nella zona, più altre dei paesi vicini.
    Furono molte le illustri famiglie che nei secoli contribuirono a fare la storia di Cemmo prima e di Capodiponte poi: i Bazzini, di origine bergamasca che annoverarono conti, insigni artisti e numerosi religiosi; gli Zitti, di cui non si hanno notizie di discendenti diretti viventi, anche loro originari delle valli bergamasche, che giunsero a Cemmo nel 1500 e che raggiunsero notevole potenza economica dedicandosi alla lavorazione del ferro e occupandosi di amministrare le vaste proprietà terriere di cui erano i possessori e beneficiari: l'attuale palazzo delle suore Dorotee di Cemmo, appartenne, in origine a questa famiglia; i Belotti (un nobile membro di questa famiglia fu anche aggregato al Maggior Consiglio della Serenissima Repubblica Veneta); i Della Torre (o Torri) che giunsero a Cemmo nel 1600 ma che avevano lontane origini carolinge. Vengono ancora ricordati i Murachelli che nel 1600 fondarono in Cemmo una Cappellania di "Jus patronato" della famiglia e i Cattane. Assunsero notevole importanza anche i casati degli Angeli, dei Pellegrini, gli Stocchetti e i Visinenza.
    Tra i più illustri figli di queste terre merita una menzione particolare il noto pittore Giovanni Pietro da Cemmo: era un frate agostiniano, nato nel 1486, appartenente ad una stirpe di artisti e le sue belle opere sono presenti in moltissimi edifici religiosi della Lombardia. Per lungo tempo aveva studiato a Padova presso il convento degli Eremitani e qui aveva perfezionato la propria tecnica pittorica: da allora tutte le sue opere furono sempre influenzate da questo periodo di ricerca e di studi.
    Anche a Capo di Ponte l'emigrazione fu una piaga costante che raggiunse punte notevoli negli anni 1904/1905 quando, su una popolazione di 1883, furono 133 ad andare lontano da casa, mentre negli anni dal 1946 al 1960 su 2579 residenti furono 992 Capontini a cercare una vita migliore anche all'estro.
    Dopo la scoperta e la valorizzazione dell'enorme patrimonio culturale delle incisioni rupestri, sparse ovunque in numerose località del territorio, sia sulla sponda destra che su quella opposta del fiume Oglio, in cui sono chiaramente identificabili e visibili le numerosissime orme lasciate dai nostri progenitori, l'economia di Capodiponte si è diretta anche verso questo importantissimo sbocco che vede conciliare il turismo con la cultura. Dal 2008 l'edificio che ospitava il Centro Camuno di Studi preistorici, diretto dal professor Anati, è stato trasformato in una vera e propria "cittadella della cultura" che, oltre al "Centro" ospita anche biblioteche, studi e sale per manifestazioni e convegni.


DA VISITARE:
Come abbiamo ricordato nella storia del paese, il professor Laeg fu il primo a segnalare, al mondo scientifico, la presenza delle incisioni rupestri scoperte sui Massi di Cemmo (età del Bronzo), dando inizio alle ricerche che hanno tolto muschi e licheni accumulatisi nei secoli sulle numerose e meravigliose pietre incise dagli antichi camuni.
Il Parco nazionale delle incisioni rupestri in località Naquane, comprende un'area particolarmente ricca di figure e simboli ed in particolare la roccia di Naquane, con 879 figure già catalogate, ricalcate e studiate. Ma se è immenso il patrimonio preistorico già portato alla luce, (circa 300.000 incisioni) ad ogni "capo di ricerche" vengono scoperte altre rocce su cui compaiono le tracce dlle incisioni e si pensa che moltissime siano ancora quelle da portare alla luce.
Del Museo d’arte e vita preistorica, in modo chiaro ed esauriente, anche con la riscotruzione fedele di un villaggio preistorico (visitabile tutto l'anno) viene descritto il lavoro intenso che il dottor Ausilio Priuli ha portato avanti in questi anni di ricerche, non solo in Valle Camonica ma su tutto l'arco alpino, in molti paesi esteri e anche nei deserti africani.
La Pieve di San Siro, fu forse la prima Pieve cristiana sorta in Valle Camonica. In essa sono conservate le (presunte) reliquie di Siro, vescovo di Pavia, santo protettore, che secondo la tradizione portò il cristianesimo in Valle Camonica. La leggenda ricorda anche che queste reliquie erano state donate, alla comunità di Cemmo, nel 594, dalla regina Teodolinda. L'attuale imponente edificio romanico risale però all'anno 1000 e venne ampliato anche nel secolo successivo: si erge su uno sperone di roccia, che domina tutta la zona capontina. Come in altri molti casi, con l'avvento del Cristianesimo, l'edificio fu eretto sul luogo dove sorgeva un precedente tempio romano di età imperiale, ma questo sito, vista la sua collocazione dominante, era stato certamente luogo di culto ben più antico in cui si veneravano le ancestrali divinità pagane camune. E' quasi certo che nel 700 d.C. esistesse già una costruzione, molto più piccola, con le tipiche squadrature longobarde, di cui restano alcuni frammenti utilizzati per la costruzione dell'edificio successivo, incorporati nei muri dell'attuale chiesa, che è edificata a tre navate, chiuse da tre grandi absidi che svettano a strapiombo sul fiume Oglio. I muri sono in conci lavorati, squadrati, sagomati e saldati con calce viva. Il tetto, a capriate, è stato recentemente restaurato. Una peculiarità di questo tempio è che manca totalmente la facciata, sostituita dalla viva roccia nella quale tutta la parte occidentale dell'edificio è incassata. Al suo posto si eleva la torre campanaria costruita nel 1400. L'ingresso alla chiesa avviene perciò da un portale laterale. Di pregevole fattura si notano ornamentazioni zoomorfe e vegetali in marmo saccaroide, proveniente dall'alta Valle Camonica, dalle cave di Canè o di Vezza d'Oglio. Causa la conformazione del terreno roccioso, il pavimento, adattandosi alle irregolarità, è costituito da diversi piani, ed il presbiterio risulta perciò molto più sopraelevato rispetto al resto della base del tempio per far posto alla cripta. Proprio sotto le absidi presbiteriali, sono posti due tronconi di un'unica colonna romana di epoca tardo imperiale che sorreggono le volte, con due capitelli in stile composito. Ma la caratteristica unica di questo tempio è la grande e ampia gradinata che si appoggia sulla roccia e alla parete a ovest. In questo spazio, secondo antiche tradizioni, i catecumeni, assistendo alle funzioni religiose, attendevano di ricevere il battesimo. Nella navata posta a nord invece è collocato il grande fonte battesimale monolitico, ricavato da un masso calcareo (recuperando un grande recipiente usato per la conservazione delle olive di età romana). La storia religiosa del tempio vuole che, in questo recipiente, i catecumeni venissero immersi per poi riuscirne e, attraverso la vicina porta recandosi, all'esterno del tempio, per asciugarsi in modo naturale alla luce del sole "simbolo della nuova vita e della resurrezione dal male". Certamente, un tempo, numerosi e vasti affreschi ricoprivano il catino dell'abside centrale. Infatti sulle navate laterali e nella cripta sono ancora conservati alcuni dipinti del 1400 come: un Battesimo nel Giordano, Redentore e Santa Giulia, Sant'Antonio abate e una Maternità e Madonna in trono. A New York ora è conservato il polittico su tavole opera del Paroto che in origine era appartenuto a questo tempio.
La Chiesa del Monastero di San Salvatore fu edificata intorno all'anno 1000 ed è un vero gioiello dello stile romanico borgognone in Italia. E' posto sulla riva sinistra dell'Oglio su un'altura a nord-est del paese. Il complesso architettonico molto articolato e splendidamente inserito tra la natura del luogo su cui sorge faceva parte di un grande monastero cluniacense. Di questo monastero però non rimangono tracce. Il luogo, sempre su una piccola altura che domina il fondo valle, era certamente già adibito a luogo di culto pagano per gli antichi Camuni e questo è attestato dal ritrovamento di un antico altare pagano. Secondo recenti studi sembra che nello stesso sito sorgesse una più antica chiesa, forse del 600 d.C., da annoverare dunque tra i primissimi insediamenti cristiani in Valle Camonica. Tutto da ammirare, anche dopo i restauri portati a termine nel 2009, di questo tempio, è lo slanciato tiburio ottagonale. L'interno, semplice ma pregevole è composto da tre navate con abside semicircolare, divise da robusti pilastri ornati da notevoli capitelli scolpiti e raffiguranti sirene, ippogrifi, rapaci ecc. Il transetto è con una cupola e un tiburio, mentre la copertura è a crociera.
La chiesa di San Bartolomeo è accanto alla casa degli Umiliati. Della primitiva struttura del tempio, risalente al 1100, rimane ben poco, solo la piccola abside romanica, ora nascosta dalle costruzioni circostanti. La parete nord di questa chiesa è addossata ad un muraglione che doveva appartenere a delle fortificazioni erette nel periodo medioevale. All'interno si possono notare alcuni frammenti di affreschi del 1400. Apparterrebbe alla scuola di Pietro Giovanni da Cemmo, l'affresco strappato dalla facciata di questo tempio per effettuare un restauro e mai più rimesso al suo luogo d'origine poiché ora è conservato nella parrocchiale di Cemmo.
L’Oratorio dei Santi Faustino e Giovita, attualmente è dedicato alle Sante Maria ed Elisabetta. Questo edificio religioso è già nominato nelle cronache religiose del 1100 del monastero bresciano di San Faustino Maggiore e si leggeva che a Cemmo era posta una chiesa dedicata allo stesso santo e che dipendeva direttamente dalla ricca casa madre. La chiesa, come si presenta ai giorni nostri, si compone di due parti nettamente distinte: una parte di età romanica e una, ben posteriore, del 1600. Appartenenti alla prima struttura sono il campanile, i muri perimetrali ed un portico. L'abside fu demolita proprio nel 1600 e alla parete fu aggiunta la struttura della attuale chiesa di Santa Maria ed Elisabetta. L'altare della nuova chiesa fu consacrato alla Visitazione di Maria, e al suo lato è visibile una pala che raffigura questa nota scena mariana. A lato di questa furono poste due tele, che rappresentavano i Santi Faustino e Giovita, opere del pittore camuno Gian Giacomo Gaioni. Nei pressi di questa chiesa sono stati ritrovati dei resti di un edificio risalente all'età romana: oltre a mattoni, tegole anche un frammento di epigrafe: questi oggetti sono ora conservati al museo archeologico di Cividate Camuno.
La Parrocchiale di Cemmo, è dedicata a Santo Stefano protomartire e si trova esattamente sul luogo dove anticamente si incrociavano il cardo e il decumano del pagus romano. Il tempio è stato molte volte rimaneggiato e ristrutturato, rimangono però alcune caratteristiche originarie di epoca romanica: nel portale e nella bifora della facciata. Costituito da un'unica navata il tetto è con semplici spioventi. Nel 1300 fu aggiunto il portico caratterizzato da capitelli di rossa pietra simona. Questa parte fu demolita quando nel 1800 la chiesa fu ampliata e furono aggiunte le due navate laterali. Nel tempio originario le pitture del 1400 erano attribuite a Pietro da Cemmo. Ben poco però purtroppo ne resta: a lato del campanile è presente solo un frammento con una Madonna con Bambino. Il primo e significativo ampliamento fu ordinato da Carlo Borromeo, nel 1600, durante la sua famosa visita pastorale in Valle Camonica e comportò la costruzione della sacrestia e della cappella. Seguirono, poi nel corso dello stesso secolo, la costruzione del battistero nel 1613, del coro nel 1664 e dell'altare del Rosario nel 1682. L'ultimo ampliamento risale al 1840 e fu eseguito su progetto dall'architetto Giovan Battista Barili di Gorzone. All'interno sono di buona fattura le due statue del 1500 in legno dorato e raffiguranti i Santi Pietro e Paolo. Degni di nota l'altare di marmo del 1772, opera dello scultore svizzero Carlo Girolamo Rusca di Lugano e la tela raffigurante i Santi Stefano e Reparata, del 1771, dipinta da Francesco Savanini. Una tavola, di notevoli dimensioni, è attribuita a Martino di Gavardo e raffigura una Madonna col Bambino in trono con angioletti e santi.
La Parrocchiale di Capo di Ponte è dedicata a San Martino: la facciata è in classico stile barocco mentre risale alla fine del 1500 il portico del lato sud. L'interno, composto da un'unica navata, ha nell'ampia volta dipinti degli affreschi sulla Vita di San Martino opera di Enrico Albrizzi. Nel presbiterio altri affreschi ritraggono la Gloria di San Martino e le quattro Virtù cardinali di Francesco Monti. Il pittore Oscar Di Prata, nel 1955 ha eseguito, nel coro, degli Angeli in preghiera. La pala dell'altare maggiore è del tardo 1500, ed è attribuita al Moretto. Tra le tele, oltre alle 12 Sibille dipinte di Gian Giacomo Borni (Gaioni) detto il Bate (detto anche: Bati, Batte, Boni-Bate, Borgnini, Borni, Rambotti): nato nel 1635 a Ponte di Saviore da una famiglia originaria di Borno, morì a Ponte il 29 ottobre 1700) e conservate nella casa parrocchiale, da ricordare anche l'Addolorata di Francesco Paglia.
La Chiesa delle Sante Faustina e Liberata fu edificata nel 1600 ed è sorta sulle vestigia di un'antica cappella romanica della quale rimane solo un frammento di abside con degli affreschi e, in una costruzione adiacente, un grosso masso, che la tradizione popolare religiosa del luogo, vuole fosse fermato dalle nude mani dalle Sante per evitare che franasse sul villaggio di Serio quando questo fu invaso da una grande frana. Sul masso sono incise delle impronte di mani che, sebbene ritoccate in epoche più recenti, potrebbero avere origine preistorica: questo masso fu sicuramente, con le stesse impronte, un antichissimo altare di qualche culto pagano. Una sola vasta navata compone l'interno del tempio, mentre la volta è a botte. Del 1600, e attribuite a Lorenzo Martello, sono le due grandi pale poste nelle cappelle laterali dedicate a San Carlo Borromeo e ai santi Giacomo e Filippo. Il paliotto dell'altare maggiore è in cuoio e vi sono dipinte le due Sante Faustina e Liberata. L'altare maggiore è sovrastato da una pala attribuita a Palma il Giovane. Accanto alla chiesa c'è la cappella del Sepolcro, qui vi sono alcune statue lignee policrome del tardo 1400.
La Chiesa di Pescarzo è dedicata ai Santi Vito, Crescenzo e Modesto. Fu edificata nel 1500, la volta è ricoperta da affreschi del 1700. Molto bella una scultura lignea rappresentante il Cristo nella bara opera della famosa bottega degli scultori bergamaschi Fantoni di Rovetta. Un'antica tradizione vuole che, quando nella Valle Camonica non piove da molto tempo e la siccità minaccia i campi, il Consiglio degli anziani del paese decida di portare in processione proprio questa statua. Sempre secondo antiche leggende è tramandato che prima delle fine della processione che potrebbe protrarsi per molte ore, sia sul paese, che sui campi debba iniziare a cadere la pioggia.

LOCALITA' COMUNALI E FRAZIONI:
(Molte delle località di seguito riportate forse non sono più presenti nella memoria delle nuove generazioni o nelle carte, o nei contratti notarili o nei testi contemporanei. Alcune risalgono, nella loro identificazione, a molti secoli addietro, altre hanno mantenuto intatto la loro localizzazione e il loro nome passando di proprietà in proprietà, altre ancora, anche ai nostri giorni, sono presenti in carte catastali, in contratti di compra vendita o semplicemente nella parlata di tutti i giorni).
Bacchetta (Bachèta; Baghèta) a m.2.549: è la cima più alta del monte Concarena, nel fianco destro della Valle Camonica tra Breno e Capo di Ponte, chiamata anche "Corna di Concarena". Deriverebbe dal vocabolo "bachéta" (bacchetta), la cima somiglia molto ad una piccola asta.
Bastona (Bastüna) a m.384, località a sud di Cemmo nel fianco destro del torrente Clegna e dell'Oglio. E' probabile che derivi da "bastù" (bastone). Il termine, abbastanza diffuso anche in altri comuni camuni, potrebbe però essere inteso anche come accrescitivo di "bast" o "basta" o "bastùna" che era la sella dell'asino o del mulo.
Birletto (Birlèt) a m.1.000 circa, località a nord-ovest di Capo di Ponte ed a sud-ovest di Sellero, sul fianco sinistro del torrente Clegna. Potrebbe derivare sia da "birlo" (capriccio) come da "berla" (mucchio di paglia).
Campovico (Camvìch) appezzamento di terreno semi pianeggiante sul fianco sinistro dell'Oglio, a nord del paese. "Vicus" è voce latina per villaggio. Probabilmente da "campus vici": campo del villaggio.
Clegna (Clegna) torrente tributario di destra dell'Oglio che si getta nel fiume poco dopo l'abitato di Capo di Ponte.
Colombè (Colòmbe) a m.2.153: monte roccioso situato a nord-est di Capo di Ponte, sul fianco sinistro della Valle Camonica il cui nome deriverebbe da "colomb" o "cornaròl" (colombo selvaggio: uccello annidato tra le rocce: le "corne") o da "colombarium" (dove venivano allevati i colombi).
Deil (Shiìl) a m.983: è chiamata fin dal medio evo "Roccia Deil" una lunga striscia di roccia posta da nord a sud tra Sellero e Capo di Ponte.
Dosso (Dòsh) a m.1.369: in comune di Capo di Ponte vi sono due località con questo nome diffusissimo in tutto l'arco alpino: una chiamata "Cascina il Dosso" e l'altra, appena sopra, "Stalla il Dosso" a nord-ovest di Pescarzo..
Ferriera (Feriera; Ferera) a m.1.752: località montana a nord-ovest di Capo di Ponte, sotto il monte Elto. Toponomasticamnete potrebbe derivare dalla presenza di una vecchia miniera di ferro o da un cognome.
Fontaneto (Fontanèt) a m.1.348: delle "Baite Fontaneto" erano segnate su una mappa catastale dell'800 ed erano poste a nord-ovest di Capo di Ponte, sul fianco destro della Valle del Glegna. "Fontanèt", nome molto diffuso è il diminutivo di "fontana". Frisozzo (Frisòsh) a m.2.899 è un "Monte Frisozzo" costituito quasi esclusivamente da roccia granitica. Una "Malga Frisozzo" è posta invece a m.1.954 e, poco distante vi è anche una "Valle Frisozzo" che scende ad est di Capo di Ponte.
Fucine (Füsine) . su una vecchia mappa militare del 1650 era riportata una località denominata "Le Fucine" ad est di Capo di Ponte sul torrente Re. Sicuramente dal vocabolo "füsina" (fucina), stava ad indicare che in questo sito esisteva un'antica fucina (o un vecchio mulino).
Longoprato (Prat lóng) a m.900: località montana a nord-ovest di Capo di Ponte, nel versante destro della Valle Camonica. Questo nome è molto diffuso in tutte le Alpi e sta sempre a significare lunghi e stretti appezzamenti di terreno adibiti a pascolo.
Luganega (Lügànega) a m.1.060: una mappa catastale del 1810 riporta con questo nome una serie di terreni boscosi a nord-ovest di Capo di Ponte, molto vicini alla confluenza di due torrenti tributari di destra dell'Oglio. Potrebbe derivare da "lucus" (bosco), visto che la zona è boschiva, ma restano dei forti dubbi, anche perché in dialetto camuno "lügànega" ha altro significato: è una piccola ma lunga salciccia di maiale.
Monastero (Monastér) a m. 412: località a nord-est di Capo di Ponte.
Morandino (Morandì) a m.377: appezzamento di terreno pianeggiante a nord di Capo di Ponte presso la strada statale. Morandi e Morandini sono cognomi molto diffusi in Valle Camonica.
Naquana (Noquana) a m.476: zona fra Cimbergo e Capo di Ponte notissima per le incisioni rupestri.
Nistabolo (Nistàbol) a m.1.580: sito su cui, ad inizio secolo scorso sorgeva una malga per l'alpeggio, a nord-ovest di Capo di Ponte ed a sud-est del monte Cuel. Il nome deriva sicuramente dal vocabolo "stàbol" (stalla o casa di montagna, baita).
Pozzo (Pósh) a m.1000, località a nord-ovest di Capo di Ponte.
Roà (Roà) a m. 878: "Contrada Roà", è una zona a nord-ovest di Capo di Ponte, dove il torrente Clegna riceve a sinistra le acque di un'altra piccola valle. L'etimologia della parola è abbastanza confusa, infatti si pensa potrebbe derivare sia da "roaia" (piselli), come da "roveda" o "roéda" che identificava dei cespugli di rovi.
Ronchelli (Ronchèl) a m.700 circa: dossello a nord-ovest di Capo di Ponte ed a nord di Cemmo, il nome, molto comune, dovrebbe essere la forma diminutiva di "ronch" (ronco, colle coltivato).
Ronchi (Rüch; Ruch) a m.419: località ad est di Capo di Ponte, nome diffusissimo in tutta la Valle Camonica, dal dialetto "rònch" "rüch" (colle coltivato, oppure vigneto a ripiani), oppure dal vocabolo latino "ronchus" (rovo, spino).
San Pietro (Shàn Piéro) a m.528, cappella a sud di Cemmo, frazione di Capo di Ponte.
San Rocco (Shàn Ròch) a m.374, vecchio ponte sull’Oglio a nord-est di Capo di Ponte.
Sante (Shante) a m.420: "Le Sante" era un piccolo appezzamento di terreno dove sorgevano un'antica chiesetta e una vecchia casa poste poco a nord-est di Capo di Ponte.
Stalla (Stàla) a m.1.445: una "Stalla il Dosso" era posta in quota, forse come malga di montagna, a nord-ovest di Capo di Ponte.
Stone (Stù) a m.1.380 e m.1.050: località a nord-ovest di Capo di Ponte, sulla sinistra di un piccolo confluente di sinistra del torrente Clegna.
Tinerli (Tanérle) a m.2.111 era segnata su una mappa militare dell'impero austriaco, il Passo Tinerli. Nelle vicinanze erano anche riportate delle antiche miniere che prendevano, anche loro, il nome di "Tinerli", a nord-ovest di Capo di Ponte ed a nord-est del monte Cuel. Il nome deriva da "tàne" (buchi nel terreno o caverne).
Tlè (Tlè) a m.1369: zona montana a nord-ovest di Capo di Ponte, a sud del monte Elto. "Tres" (porcile: voce dialettale nella Val di Non).
Valleione (Valiù) a m.728: vasta zona a nord di Ono S. Pietro e a sud di Pescarzo, nel versante destro della Valle di Pescarzo. Viste le dimensioni maggiori di questa valle rispetto ad alcune vicine, il nome è la "distorsione" fatta in dialetto locale di "valù o hàlù"(grossa valle).
Valsenta (Valsèrta) a m.871: località a nord-ovest di Capo di Ponte e a nord di Pescarzo. Il vocabolo "senta" deriverebbe dal latino "sentis" (pruno spino), per cui "Val Senta" (Valle delle spine o dei rovi).
Vericolo (Verìcol) a m.1.711 è localizzata una zona denominata "Malga del Verìcol" a nord-ovest di Pescarzo, a sud del monte Cuel.
Viandole (Viàndole) a m.1.630: sito montano a nord-ovest di Capo di Ponte a sud del monte Cuel. Deriverebbe da "viando" (cibaria), ma anche da "gianda" (ghianda).
Zeita (Sèita) a m.1.020: località a nord-ovest di Capo di Ponte, sul versante sinistro del torrente Clegna.
Zurla (Sürla) a m.400 circa: terrazzamento a sud di Capo di Ponte e ad ovest di Cimbergo. Potrebbe derivare da "zurla" (specie di albero), ma anche da "chiurlo" (assiolo), detto anche "chiù", uccello rapace notturno.

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