Stemma Lozio Lozio
LOZIESI (Canò - Losèç - Visiaç - Passei) :
427 (anno 2012)
SUP. COM. Kmq : 23,9 H.m.: 975 s.l.m. Prefisso Tel.: 0364
DA BRESCIA e BERGAMO
Km.
77,5
Da MILANO
km.
127
FRAZIONI
Laveno, Sommaprada,
Sucinva, Villa
CAP. : 25040


Le Immagini del Paese
Panorama del paese
Sucinva - Làveno - Sommaprada
Sucinva frazione di Lozio
Villa frazione di Lozio
Sommaprada frazione di Lozio
Làveno frazione di Lozio
Chiesetta di S. Cristina
Chiesa dei SS. Nazaro e Celso
Piramide di terra
IL NOME:
Lozio (Lòsh) - Luzio (sec. XI) - Loccio (sec. XVII) - Lòz o Lòs (1597) potrebbe derivare dal celtico o erulo-gotico "lot-loos" o "leod" (gente, tribù o insieme di pastori), oppure da "lutus" e "luteus" (fango, torbido, fangoso, melma). LE FRAZIONI: Tutti i nomi delle frazioni che compongono il comune di Lozio sono di chiara derivazione latina anche perché sono state fondate in un periodo collocabile dopo la conquista romana della Valle Camonica.
Sommaprada (Shomaprada) m.1061. E’ la frazione più orientale della comunità di Lozio, a sud-ovest del Corno di Concarena. Il suo nome deriva da "summa" = parte superiore e "prata" = praterie: prati superiori, più elevati. Potrebbe anche derivare da "homa", modifica della voce celtica "haem" = abitazione o rifugio più l’aggiunta di "prada".
Làveno: deriva il suo nome dalla voce dialettale "Làen", derivata a sua volta da "aèn" = acqua per indicare le numerose sorgenti che erano localizzate nella zona.
Sucinva (Sheshìnva) m. 850. E’ la frazione più bassa della comunità di Lozio, sul versante sinistro della valle di Lozio. Il nome potrebbe derivare dal germanico "hoh" o "haem" = casa, abitazione o dal supposto aggettivo "socennica" derivato a sua volta dal gentilizio romano "Socennius", o "Soccinnica" da Soccinius.
Villa (I’la de Lòs) a m. 1020: sul fianco sinistro del torrente Lànico. Chira, anche qui l’origine latina "villa"= casa di campagna, abitazione rurale o podere. Nel medioevo era anche un sinonimo di vicus come centro minore ai confini del territorio della civitas.


LA STORIA :

    Gli antichi Camuni, del ceppo Ligure-Celtico, dovevano certamente conoscere e frequentare questa piccola valle, laterale alla più ampia Valle Camonica e forse percorrevano i ripidi e stretti sentieri che la collegavano alla vicina Val di Scalve, ma su queste antichissime presenze non si hanno dati e riscontri certi e sicuri se non per induzione indiretta vista la vicinanza di molti siti preistorici ritrovati sull'altopiano di Borno e Ossimo e la continuità col territorio della media Valle Camonica.
    Dopo la conquista delle grandi valli alpine nella guerra Retica del 16 a.C., la presenza dei Romani nella piccola valle di Lozio, scoscesa e protetta naturalmente da una corona di montagne e dalla difficoltà e scarsità di collegamenti e strade, è riscontrabile non solo nei nomi di alcune delle frazioni che compongono il comune ma anche perché (dal 1889) sono stati ritrovati, in località Campoguardia, diversi siti funerari di epoca barbarico-romana.
    Nelle tombe vi erano, a corredo, diversi reperti della stessa epoca.
    Intorno all'anno mille, dopo la lunga dominazione longobarda e la successiva conquista dei Franchi di Carlo Magno, in questa zona ebbero numerose proprietà, benefici feudali e beni i ricchi monasteri bresciani di San Faustino e di Santa Giulia.
    Un'antica famiglia di origine bergamasca (la valle di Lozio è a nord-est posta sul confine tra la Valle Camonica e la contigua Valle di Scalve mediante numerosi anche se piccoli passi), i Nobili, fu infeudata, nella valletta dal Vescovo di Brescia che dal X secolo aveva assunto anche il titolo di Duca di Valle Camonica. I Nobili di Lozio risultavano anche strettamente imparentati ad un ramo di un'altra importante e nobile famiglia camuna, quella dei Griffi di Losine, pure loro vassalli della Curia Bresciana e dunque di parte guelfa, che erano stati infeudati, in vaste proprietà della media Valle Camonica (sempre intorno all'anno Mille) da un loro diretto congiunto, salito alla Cattedra vescovile della città: il vescovo Giovanni Griffi.
    E' passata agli annali della storia camuna la furibonda lite che, nell'anno 1156 contrappose gli abitanti di Lozio e quelli del ricco comune di Borno che, recandosi in processione presso l'antica Pieve di Cividate Camuno (da cui le due parrocchie allora ancora dipendevano), si erano incontrati casualmente sulla stessa stretta via e non volendo cedere la precedenza agli altri, erano si era passati agli insulti, alle invettive, al lancio di oggetti e sassi e ad un violento scontro fisico. Allora Cividate era la grande Pieve a capo di tutta la media Valle Camonica e dalla quale le due comunità di montagna (con altre decine di piccole parrocchie vicine) dipendevano per le più importanti funzioni religiose e per il "Fonte Battesimale" che, fattore economico e politico importantissimo, permetteva la raccolta, la distribuzione e l'amministrazione diretta delle decime e di molte tasse.
    Gli stretti contatti tra la famiglia Nobili e la loro terra d'origine, la Valle di Scalve, in cui fin dai tempi preistorici erano state impiantate fucine per la lavorazione dei metalli ferrosi estratti in loco, permise a questa dinastia di irrequieti e prepotenti signorotti, di possedere e gestire un forno fusorio in cui avveniva il completo ciclo metallurgico. Dunque oltre che l'estrazione e la prima cernita del pre-lavorato, che avveniva anche in altri paesi della Valle Camonica, a Lozio si lavorava anche alla completa produzione (fino al prodotto finito (armi, attrezzi e ferrarezze) con varie tecnologie e metodi del prezioso e ricercato materiale. Questo aumentò notevolmente la ricchezza dei Nobili e di conseguenza la loro presenza e la potenza tra i Guelfi della Valle Camonica che si videro obbligati, dalle circostanze politiche, a porre questa stirpe alla testa del loro movimento che stava subendo pesanti restrizioni da parte dei Ghibellini e da alcune famiglie emergenti, legate alla parte avversaria della Curia di Brescia che, in quegli anni, stava conducendo una strenua lotta contro le infeudazioni imperiali.
    I Nobili di Lozio, a dimostrazione della loro riconosciuta supremazia, ma anche per le difficoltà politiche e militari a cui andavano incontro, forse anche per fare sfoggio della loro potenza, costruirono, sul finire del 1200, uno dei più importanti e possenti castelli della Valle Camonica.
    Quest'imponente edificio, andato ora quasi completamente distrutto, sorgeva maestoso sugli scoscesi dirupi sovrastanti la località Villa, ora borgo principale della vallata. I contemporanei, che visitarono questo castello, lo descrissero di "notevole fattura" (dal 1998 sono iniziati dei lavori di ricerca e recupero dei resti della rocca e alcuni storici locali si sono occupati di questo maniero e dei suoi proprietari). La potenza dei Nobili raggiunse ulteriore splendore, quando, anche ufficialmente, vennero riconosciuti come capi dell'intera fazione Guelfa della Valle Camonica. Infatti nel 1363 furono infeudati come diretti vassalli del Vescovo di Brescia e siglarono ulteriori alleanze e strinsero nuove parentele con le altre potenti famiglie guelfe camune come i Griffi di Losine (già loro parenti), i Ronchi di Breno, i Pellegrini di Cemmo, i Grandesini e Lupi di Borno e gli Antonelli di Cimbergo.
    I nemici storici dei Nobili furono, già dal XII secolo, i numerosi componenti dell'altra potente famiglia camuna: i Federici, di parte ghibellina e diretti delegati dall'Impero (da Federico Barbarossa in poi, da cui sembra abbiano preso anche il nome). Pur mantenersi ufficialmente equidistante dalle due fazioni in perenne lotta, Bernabò Visconti, che era stato chiamato come arbitro a gestire una tregua, investì di vari privilegi entrambe le famiglie, ma nella sua subdola politica (che lo portò poi al dominio dell'intera Valle Camonica) preferì favorire, anche se non apertamente, i ghibellini Federici e agì in modo da creare profonde divisioni nella parte guelfa (che al Visconti interessava ridimensionare, essendo a quei tempi, in lotta aperta con il Vescovo di Brescia).
    Dopo grandi e vibrate proteste di partigianeria. lo spregiudicato e infido Signore di Milano nel 1336, a cui interessava mantenere, in quel momento in cui era impegnato in altre lotte aperte, un certo equilibrio tra le parti (favorendo ora l'uno ora l'altro degli schieramenti), esentò i Nobili dal pagamento di numerose tasse e balzelli. Baroncino Nobili, il più importante, astuto e preparato rappresentante della famiglia, ricambiò questo favore e i privilegi assegnati e fece da abile mediatore, ad altissimo livello, nella difficile controversia che era sorta tra il Visconti e il Papa.
    Ma nel 1371 Barnabò, dimentico dei servizi resi da Baroncino e del favore che il Nobili aveva meritato presso la sua diplomazia e la sua corte, passò d'imperio tutta la Valle di Lozio sotto la giurisdizione della Val di Scalve e questo, come era logico, deteriorò i rapporti tra il Visconti e i Nobili che, in questo modo, si vedevano allontanati dall'amministrazione delle terre che avevano in Valle Camonica. La politica viscontea, che nel frattempo aveva comunque elargito altre donazioni ai Nobili, non valse ad evitare che nel 1372-73 i Guelfi camuni si alleassero con quelli bergamaschi portando guerra allo stesso Bernabò Visconti, al quale uccisero il figlio Ambrogio. A questa uccisione sembra non fossero per nulla estranei i vecchi alleati: i Nobili di Lozio, che con lo stesso Baroncino parteciparono, nel 1378 al giuramento per una tregua (che durò solo due mesi) tra le fazioni camune dei Guelfi e dei Ghibellini che, con la presenza di delegati milanesi, si tenne nel castello di Cimbergo.
    Nel 1385, il nuovo potente Signore di Milano, Gian Galeazzo Visconti, non riuscendo a limitare, nella vallta dell'Oglio, la preponderanza politica dei Guelfi camuni si vide costretto a concedere nuovi privilegi ai signori loziesi, inaugurando un periodo di distensione. I Nobili di Lozio, pur restando i principali rappresentanti del guelfismo in terra camuna, visto che lo stesso Visconti si era accordato con il Vescovo di Brescia e aveva concesso a questi alcuni dei principali diritti a riscuotere le decime e le tasse, si rifiutarono di riconoscere i nuovi e pesanti diritti della Curia sul loro feudo e furono quindi "banditi" dalle loro terre e dal Ducato dal podestà Crivelli. Assieme ai loro Signori anche il comune di Lozio, già entità amministrativa a se stante, fu ammonito. Né il comune né tanto meno i Nobili, asserragliati tra le mura del loro possente castello e con il controllo delle impervie vie che conducevano ad esso, si sottoposero al "bando" e continuarono a essere una delle più importanti realtà politiche e militari della media Valle Camonica e sempre più punto di riferimento a chi voleva opporsi al potere sia di Milano che di Brescia.
    Nel 1392 il figlio di Baroncino, Pietro, continuando le scorribande che avevano reso celebri i propri avi, guidò alcune razzie di bestiame sui monti di Bienno, trasferendo intere mandrie dalla Val Grigna fino a Lozio e poi in Val Seriana e Val Brembana. Queste azioni, e altre ancora, allora di una notevole difficoltà logistica e portate a termine correndo grandi rischi, crearono un diffuso clima di guerriglia e ritorsioni con faide e vendette, scaramucce e violenze in tutta la Valle Camonica, tanto che lo stesso Gian Galeazzo Visconti ne fu particolarmente preoccupato. Per questo il Duca di Milano tentò di imporre una tregua generale tra le fazioni, che furono convocate, con tutti i massimi rappresentanti dei comuni e delle più potenti famiglie camune, al ponte Minerva di Breno nel 1397. Qui si firmò una solenne pace, si giurò sulle sacre scritture e si presero precisi impegni... che ebbero breve durata.
    Le lotte ricominciarono addirittura più cruente di prima e su ordine del Visconti, il solito podestà Crivelli, dichiarò nuovamente banditi i Nobili, condannandoli a morte se fossero stati catturati... ma questi rimasero nelal looro valletta, protetti dal loro ben munito castello. Anzi il solito irrequieto Baroncino, con altri guelfi camuni, partecipò ad ardite spedizioni anche fuori della Valle Camonica, come a Rovato ed addirittura a Brescia.
    In città le forze guelfe, riuscendo ad impadronirsi dell'intera piazza, scacciarono il vescovo Guglielmo Pusterla, che si era nuovamente alleato ai Visconti e perciò era divenuto inviso alla fazione guelfa di Valle Camonica (pure a lui pregiudizialmente favorevole) che si era vista crescere a dismisura le imposizioni fiscali sia dalla Curia e che dal Ducato.
    Quando, Pandolfo Malatesta, nominato dal Duca di Milano, per i servigi resi, Signore di Brescia, iniziò una sua personale politica di indipendenza che ben presto lo contrappose agli stessi Visconti (con cui avrebbe invece dovuto mantenere solo rapporti di vassallaggio), ebbe nei Nobili di Lozio degli utili e interessati alleati, anche se gli indisciplinati signorotti camuni, si dimostrarono subito particolarmente restii a seguire le ordinanze che giungevano dal nuovo signore di Brescia. Il favore del Malatesta e la nuova posizione, preponderante, tra le più potenti famiglie della Valle Camonica, scatenò ancor più le fazioni avverse e contro i Nobili e i loro alleati si crearono delle forti coalizioni di fede ghibellina che, auspicando l'arrivo in Valle delle truppe di Milano, si dichiararono favorevoli al ritorno diretto dei Visconti.
    Forse su suggerimento di qualche delegato visconteo o per iniziativa voluta da quelli che si sentivano minacciati dal potere e dalla sfrontatezza dei Nobili venne organizzata una spedizione punitiva che doveva colpire e distruggere la famiglia loziese che, ancora una volta, si era asserragliata nella sua impervia valle e nella sua imponente rocca.
    Così per mano dei Federici (la più potente famiglia ghibellina camuna che aveva stretto attorno a se una serie di accordi e parentele che la ponevano al vertice delle famiglie nobiliari locali), guidati da Giovanni di Erbanno, che era anche insignito del titolo di signore di Mù, fu consumata una spietata e atroce vendetta. La notte del 25 dicembre 1410, il giorno di Natale (che era stato festeggiato dai Nobili e dai propri famigli nel castello e nelle varie case fortificate a Villa di Lozio), le schiere ghibelline penetrarono nella rocca e uccisero tutti i presenti. La cronaca di quel sanguinosissimo episodio (poi trasformata anche in una "bota": storia locale) racconta che i Federici e i loro alleati, col favore delle tenebre, riuscirono a salire lungo gli stretti sentieri della oscura valle senza essere avvistati poichè nessuno, il giorno di Natale, si sarebbe aspettato un'azione nemica. Giunti a nord dell'abitato di Villa e della rocca, con un silenzioso lavoro, sbarrarono e deviarono il corso del torrente Lanico che, con le sue acque, allagò tutte le ripide e strette strade e gelando, vista la rigidissima temperatura, le rese impraticabili e non permise azioni coordinate di difesa. Tutti i Nobili, i loro famigli e le persone che erano nel castello furono trucidati, nessuno dei numerosi componenti la famiglia, in quella notte sanguinaria scampò al massacro. Solo due ragazzi, che si trovavano a Bergamo e Brescia, per seguire gli studi, si salvarono tra tutti i componenti dell'intera potente, illustre e ricca famiglia dei Nobili di Lozio.
    Da allora, la parte guelfa della nobiltà camuna e i paesi che avevano abbracciato la fazione comandata dai Nobili, si schierarono dalla parte dei Federici (e dei Visconti) che, non incontrando più valida resistenza alle loro mire espansionistiche, estesero la loro indiscussa influenza in ogni angolo della Valle.
    Il castello di Lozio e il paese di Villa, che sorgeva accanto alla rocca, rimasero per quasi vent'anni feudo dei Federici di Mù, fino a quando la Serenissima Repubblica Veneta, che aveva conquistato tutta la Valle Camonica, nel 1428, ne ordinò la restituzione agli unici discendenti viventi di Baroncino: Bartolomeo e Pietro Nobili.
    Quando nel 1438 i Viscontei tentarono la riconquista della valle, non riuscirono ad espugnare le fortezze di Lozio e di Breno. Questo importante castello, perno di tutta la difesa della media valle, fu rifornito durante l'assedio di armi e viveri proprio da Bartolomeo Nobili e dai suoi uomini, la cui fedeltà fu riconosciuta e premiata da Venezia con una speciale legge del Gran Consiglio e del Doge, del 20 giugno 1449, che riconosceva libertà di commercio e d'importazione di sale dai paesi del nord Europa, alla comunità di Lozio e alla Valle Camonica. Era un altissimo riconoscimento poiché le leggi che regolamentavano questo commercio erano ferree e le pene per i trasgressori erano tra le più gravi e pesanti.
    Bartolomeo, fedelissimo di Venezia, capeggiò validamente la resistenza contro le truppe comandate dallo Sforza anche nel 1453-54, quando i milanesi ripresero, momentaneamente, il castello di Breno e ggran parte della Valle Camonica. Malgrado i numerosi tentativi, gli attacchi e l'uso (per la prima volta) delle armi da fuoco (bombarde e colubrine) gli sforzeschi non riuscirono a risalire la valle di Lozio e a occupare il castello, difesi strenuamente dallo stesso Bartolomeo Nobili e da Girolamo Ronchi.
    La fedeltà dei Nobili fu di nuovo ricompensata dalla Repubblica di San Marco, quando le truppe venete, dopo numerosi scontri e battaglie, riconquistarono la valle: vennero concessi ai Nobili altri benefici come quello di consentire loro la riscossione delle imposte dovute dal comune di Lozio che fino ad allora erano state versate direttamente a Brescia.
    Nel 1455 il Maggior Consiglio della Serenissima, non più disposto a credere alla malsicura fedeltà di alcuni nobilotti locali che avevano più volte tradito i giuramenti di sudditanza, ordinò lo smantellamento di molti castelli camuni (Montecchio, Plemo, Mu, Cimbergo, Cemmo ecc), ma quello di Lozio fu risparmiato e ai suoi fedeli Signori fu riconosciuta, oltre ai privilegi già citati anche l'ambita "Cittadinanza bresciana" e la proficua e allora (era a pagamento) ricca concessione di pesca nei torrenti Lanico e Baione. La fiducia concessa da parte dei delegati della Repubblica Veneta nei Nobili di Lozio fu ben ricambiata e fu ulteriormente dimostrata nel 1512 da Simone, figlio di Bartolomeo, che partecipò alla riscossa contro le truppe dei Francesi che avevano invaso la valle e occupato alcune rocche camune.
    Gli abitanti di Lozio, già dagli inizi del 1400, avevano comunque iniziato a contestare vivacemente ai loro "Signori" alcuni dei principali diritti feudali e le proprietà sul territorio, tanto che i Nobili, pressati dai sindaci dovettero cedere alcuni privilegi alla comunità, ma la famiglia riuscì a mantenere forte la propria influenza politica, tant'è che nel 1550 riuscì ad imporre come parroco di Villa un suo giovane membro appena quindicenne (la maggiore età allora si raggiungeva al compimento del 14° anno). Questi si comportò in modo tanto scandaloso ed era ritenuto di costumi tanto poco esemplari che Carlo Borromeo, cardinale di Milano, fu costretto a destituirlo ed esiliarlo.
    Nel 1500, anche su stimolo della Repubblica Veneta, che in questo modo limitava enormemente il potere dei nobili locali, erano sorte in Valle Camonica varie "Vicinie" e anche le quattro comunità e frazioni della Valle di Lozio ottennero di poter eleggere i propri organi amministrativi di estrazione popolare e nominare il proprio Console. Nel 1574 i Nobili furono costretti a cedere alcuni dei loro privilegi più esclusivi tra cui quello ambitissimo del diritto esclusivo alla caccia sulle loro proprietà e sulle terre della Valle di Lozio. Di queste concessioni s'impossessò il Comune di Lozio, che le rilevò direttamente, dopo che Venezia non si era opposta al loro incanto e alla loro cessione.
    I secoli successivi videro sorgere e svilupparsi nei piccoli borghi alcune scuole per l'istruzione dei giovani. Fino al 1700 la Valle di Lozio restò quasi completamente isolata dal resto della Valle Camonica, poiché era servita solo da stretti e ripidi sentieri che, permettevano il passaggio solo di carri di dimensioni ridotte e con carichi limitati. Anche con la vicina Valle di Scalve, con cui confinava solo tramite dei piccoli e disagevoli passi, i collegamenti erano difficili e non praticabili tutto l'anno.
    Se questo era stato un grande vantaggio strategico nella difesa della zona, i mutati tempi e le diverse condizioni politiche richiedevano invece collegamenti più celeri e facili, strade più ampie e sicure. Venne allora costruita una strada che collegava i principali borghi con le principali arterie del fondo valle camuno e questo permise un più vivace scambio tra le varie popolazioni e i piccoli paesi loziesi che rimasero però ancora a lungo gelosi della loro piccola ma secolare autonomia.
    Come per altri centri abitati della Valle Camonica fu alto il contributo di vite umane che la comunità di Lozio pagò per le guerre del Risorgimento e per le due guerre mondiali. Nell'ultimo conflitto mondiale dopo la caduta del fascismo, dal dicembre del 1944 al gennaio del 1945, in pieno inverno, agì in queste brulle e inospitali montagne la formazione partigiana delle Fiamme Verdi, comandata da Giacomo Cappellini che fu catturato dai nazifascisti, nell'abitato della frazione di Laveno, e dopo un sommario processo, fucilato.
    A partire dagli anni '90 anche Lozio, come altri centri minori della Valle Camonica, ha intrapreso, con buoni risultati, la strada dello sviluppo turistico e la tranquillità della sua piccola ma incantevole Valle, non ancora contaminata da traffico intenso e da speculazioni edilizie selvagge (anche per l'opposizone ad alcuni progetti), è la maggiore attrattiva per i sempre più numerosi villeggianti che trascorrono i mesi estivi nelle quattro frazioni. Allettanti sono gli itinerari e le escursioni che sono state programmate e consigliate dalla pro-loco che, toccando i diversi angoli caratteristici, fanno della Valle di Lozio un punto di riferimento non solo per passeggiate a piedi ma anche per raduni motociclistici.
    Si cercano anche di rivalutare quelle vestigia storiche legate alla piccola nobiltà locale che tanta importanza aveva avuto nella storia più articolata e ampia della Valle Camonica, con la riscoperta delle rocche dei Nobili e le tracce di insediamenti di epoca preistorica. A partire dal 2000 su un colle che dominava l'intera vallata e su cui sorgeva isolata la bella chiesa dei SS. Nazaro e Celso, a Laveno, sono state edificate, malgrado forti contestazioni, numerose villette a schiera e anche una casa di riposo.


DA VISITARE:
Non esistono edifici civili di una certa importanza, malgrado la potente famiglia Nobili avesse edificato un possente castello, poco distante da Villa, che fu magnificato anche da alcuni scrittori contemporanei. Il castello fu completamente demolito e delle sue mura non rimangono che pochi e poco individuabili resti.
La Chiesetta di S. Cristina, sorge in quota e in posizione isolata ed elevata, ai piedi di un vasto canalone ghiaioso che la pone in posizione visibile da molte delle montagne circostanti fin all'imboccatura delle Valle di Lozio. E' posizionata a ovest di Sucinva e a Santa Cristina e ai suoi fratelli Fermo (a Borno) e Glisente (a Bienno) fa riferimento l'antica leggenda carolingia dei tre che contribuirono con il loro esempio ascetico a cristianizzare la Valle Camonica. E' una bota (storia) che tutti i bambini di Borno, Lozio e Berzo e Bienno conoscono bene anche se in diverse (solo di alcuni particolari) versioni.

Si tramanda che al seguito di Carlo Magno erano venuti a combattere contro i Longobardi, i Giudei e i pagani del nord - Italia, tre fratelli di una nobile famiglia germanica provenienti dalla Selva Nera: erano Fermo, Glisente e Cristina. Tre cavalieri che avevano accompagnato il re franco in tutte le sue battaglie e erano tra i conquistatori della Valle Camonica. Stanchi di combattere e nauseati dagli orrori della guerra, i tre supplicarono re Carlo di poter lasciare l'esercito per diffondere la fede cristiana con l'esempio e non con le armi. Ottenuto il consenso, operarono una profonda conversione e decisero di dedicarsi alla vita ascetica, ritirandosi su tre differenti alture per pregare, vivere una vita contemplativa di penitenza. Glisente scelse come suo romitaggio un colle della Val Grigna, Cristina una zona impervia della Concarena in Val di Lozio e Fermo un'altura che dominava l'altopiano di Borno. I tre siti si trovavano all'incirca alla medesima altitudine permettendo una comunicazione visiva. Al momento di lasciarsi i tre fratelli si accordarono che ogni sera avrebbero acceso un falò per segnalare la loro presenza. Dopo alcuni anni i genitori dei cavalieri, venuti a conoscenza della vita che i tra stavano conducendo, inviarono dei messi a cercare i loro figlioli, ma non avendo saputo alcuna notizia, pensarono che fossero deceduti nella battaglia del "Mortarolo". Cristina era la più solitaria dei tre, non amava farsi vedere e parlava solo con gli animali. Un giorno però, dei pastori scovarono la grotta in cui si era rifugiata e si avvicinarono per conoscerla, ma lei per sottrarsi all'incontro spiccò un volo cadendo illesa ai piedi della Val Baione dove cercò un nuovo nascondiglio. Dopo quel salto prodigioso il suo falò non fu più visto da Fermo ma solo da Glisente che per mezzo di un'aquila comunicò al fratello che Cristina aveva cambiato dimora. L'aquila rimase poi con Fermo per fargli compagnia e per procurargli dei favi di miele. Cristina che ora si trovava molto più in basso, per non farsi riconoscere, si copriva con pelli di capra e quando cantava le lodi divine gli animali della montagna si avvicinavano ad ascoltarla scambiandola per una di loro. Una sera Glisente non vide più scintillare il falò di Cristina e all'indomani si recò con Fermo in Val di Lozio. Uno stormo di uccelli indicò ai due fratelli dove si trovava il corpo della sorella che giaceva immobile su un tappeto di fiori vegliato dai suoi fedeli animali. Quindi la seppellirono degnamente e più tristi che mai tornarono ai loro rifugi. Dopo qualche giorno nel luogo dove Cristina era sta sepolta, da una roccia, iniziò a sgorgare dell'acqua medicamentosa. Trascorsi alcuni anni anche Glisente morì e venne sepolto dai pastori nella cella della sua spelonca. Fermo, ormai vecchio e malato non potè far visita al fratello e continuò ad essere assistito dall'aquila che per intercessione divina era anche aiutata da un'orsa che lo riforniva di legna e di selvaggina. Quando morì alcuni mandriani e pastori del posto rinvennero vicino al cadavere del santo l'orsa che guaiva per la morte del suo padrone. La leggenda non fa menzione del luogo di sepoltura di Fermo ma si limita a dire che il suo corpo fu trasportato a valle. Tutti e tre gli eremiti morirono in concetto di santità e dopo qualche tempo iniziarono a compiere miracoli per cui le popolazioni di Borno, Lozio e Berzo edificarono a ciascuno di loro una chiesetta proprio sui luoghi del romitorio, iniziarono una secolare venerazione.

Curioso e caratteristico della valle di Lozio: nelle frazioni Sucinva, Laveno e Sommaprada il tabernacolo ha la forma di parallelepipedo su una base sagomata, con piccole colonne tortili e con decorazioni secentesche. Stagliata su una collinetta che domina tutta la valle di Lozio e che è visibile sin dalla strada che sale da Malegno a Borno l'elegante chiesa dei SS. Nazaro e Celso a Làveno. Edificata nel 1600 si caratterizza con un bel portichetto con pilastrini e lesene in arenaria, davanti al portale. La pala dell'altare maggiore è del Morone mentre il paliotto e la soasa dell'altare si riferiscono alla "Madonna del Rosario".
Sempre a Làveno la chiesa di Santa Maria Assunta ha una pala del 1600, di Gian Giacomo Borni (Gaioni) detto il Bate (detto anche: Bati, Batte, Boni-Bate, Borgnini, Borni, Rambotti): nato nel 1635 a Ponte di Saviore da una famiglia originaria di Borno, morì a Ponte il 29 ottobre 1700) raffigurante la "Madonna col Bambino, i Santi Domenico e Caterina e un sacerdote".
La parrocchiale dei Santi Pietro e Paolo a Villa fu ricostruita nel 1600 e conserva un notevole altare maggiore opera di Baroncino di Rezzato. Gli altari laterali sono invece attribuiti al milanese Antonio Veda. Di ottimoo pregio, oltre ad alcune opere lignee, sono pure gli affreschi di Antonio Guadagnini eclettico pittore nato a Esine (1817-1900) ha lasciato in Valle Camonica numerose opere che, per quantità e qualità, rivestono una notevole importanza come qulle a Pisogne nella parrocchiale dedicata a Santa Maria Assunta, nella parrocchiale di Gianico, a Esine, a Cividate, a Malegno, a Ossimo Superiore, a Borno, a Villa di Lozio. Moltissimi lavori di ottima fattura con anche molti affreschi come il ciclo di dipinti murali lasciato nella parrocchiale di Breno.autore anche di una pala e dell'affresco della vasta cupola.
Nella chiesa di San Giovanni Battista a Sommaprada è conservata una tela del 1600, raffigurante San Bartolomeo.
La chiesa di Sant’Antonio da Padova sorge a Sucinava, edificata nel 1600, contiene una tela seicentesca raffigurante la "Madonna col Bambino e i Santi Francesco, Saverio e Antonio da Padova" attribuita al Bate.

LOCALITA’ COMUNALI:
(Molte delle località di seguito riportate forse non sono più presenti nella memoria delle nuove generazioni o nelle carte, o nei contratti notarili o nei testi contemporanei. Alcune risalgono, nella loro identificazione, a molti secoli addietro, altre hanno mantenuto intatto la loro localizzazione e il loro nome passando di proprietà in proprietà, altre ancora, anche ai nostri giorni, sono presenti in carte catastali, in contratti di compra vendita o semplicemente nella parlata di tutti i giorni).
Agulino (Agulì) a m.1.280: con questo nome era riportata su antiche mappe una cascina a sud di Villa di Lozio e del Corno dell'Agula. Agulì è il diminutivo di agùla (poiana comune, uccello diffuso nella zona e da non confondere con l'aquila alpina).
Ailade (Ailàde) a m.1.056: avvallamento posto accanto all'abitato di Villa di Lozio e vicino al torrente Lanico. Deriverebbe da "vailade" (piccola valle o vaiella) o da vadellum (piccolo guado).
Baione (Baiù - Baiùna) valletta inserita tra il monte Bagossa e il gruppo roccioso della Concarena, che si apre a nord di Lozio. Il suo nome potrebbe derivare da "baiù" (latrare, ma identifica anche un chiacchierone che alza la voce) e "baiùna" in dialetto locale vuol dire: femmina chiacchierona e loquace.
Bagozza (Bagòsha) a m.1.240 è un picco roccioso che si eleva a nord di Villa e ne separa la conca dall'alta valle del Dezzo, nella confinante e vicina Val di Scalve. Il lungo sperone meridionale richiama la forma di un otre che era ricavato da tutta l'intera pelle di capra, che nell'antico dialetto camuno si dice "Bàga".
Bèrgol a m. 1.276 prato e cascina posti a sud ovest della Concarena, al confine dei comuni di Malegno e Breno.
Blese (Blese) a m.2.197 su alcune carte risalenti all'800 è riportato un "pass de le Blèse", tra la valle del torrente Lanico e quella del torrente Glegna, quasi in fondo alla val Baione, tra la Concarena e il monte Bagozza, a nord dalla valle di Lozio. Zona molto scoscesa e ricoperta di prati da cui "blèse" (costa di monte ripida, prativa).
Breina (Brèina) a m.975 in questa zona erano collocati degli antichi mulini per macinare granaglie, e la zona prese il nome di "mùlì de Brèina" (forse un soprannome del proprietario) posta nella piccola valle di Santa Cristina al confine tra le frazioni Villa e Sommaprada.
Buda (Bùda) "bùda frèda" (buca fredda) è una ampia e lunga fessura del terreno che percorre quasi tutta la valle di Lozio.
Càbella (Cà-bèla) a m.1.200 "Cà béla" era una località identificata su alcune mappe catastali venete, ad est di Sucinva.
Calcinera (Calshinéra) m.800 circa una cascina "calshinèra" era posta a sud di Sucinva. Deriverebbe da "calshìna" (calchera, calce, calcina) e potrebbe indicare uno dei luoghi in cui veniva prodotta la calce con antico metodo a caldo. Molto diffuso questo nome in molte zone della valle con modifiche nei dialetti locali (calchèra, calsèra ecc).
Camerata (Cameràda) a m. 740 era segnata già nel 1750 una località con alcune case coloniche ad ovest di Laveno, sulla riva sinistra del torrente Santa Cristina, sulla strada principale per raggiungere le varie frazioni della valle di Lozio. Il toponimo deriverebbe da "camèrata" aggettivo che si riferisce ad ampie stanze di case o di altre costruzioni rurali o di ricovero con le caratteristiche volte in pietrame che sono pesenti nelle abitazioni della in zona.
Casinelle-o (Casinèle; Casinèl) a m. 1.155 piccola e antica cascina a sud ovest dell'antico Sommico nei pressi di Sommaprada.
Castello (Castèl) a m. 1.200 il "castèl" è località posta poco sopra l'abitato di Villa di Lozio, ad est di Sucinva, nel versante destro della valle, doveva essere il luogo dove sorgeva una delle dimore fortificate della antica famiglia Nobili (vedi storia del paese).
Crap il Passo di "Crap" è segnato a nord est di Sommaprada a m. 2.370.
Crop (Cròp) a m.1.270 è posto un "colle del Cròp" ad est di Sucinva, il nome driverebbe forse a causa della sua conformazione: da "cròpa" o "gròpa" (groppa del cavallo).
Diavolo (Diàol) a m.2.272 è segnata su antiche carte, la "Pòrta del Dìàol", piccolo passo che dalla valle di Lozio porta in val di Scalve sopra l'abitato di Schilpario.
Gadignale (Gadegnài) a m.800 sono stati rilevati al confine della fascia boscosa, due appezzamenti con prati e cascine: "Gadègnài de sùra" (di sopra) e "Gadègnài de sòta" (di sotto), a sud est di Villa di Lozio.
Ladri su antiche mappe militari del 1750 era riportato un "pass de i Ladrinai", sopra Villa di Lozio, sulle carte moderne non ve n'è più traccia e non è altrimenti specificato. Il nome è forse in riferimento al contrabbando o a bande dedite al ladrocinio sul confine tra la provincia di Brescia (Lozio) e quella di Bergamo (Schilpario).
Lifretto (Lifrèt) a m.2.023 è localizzato il "pass de Lifrèt" a nord ovest di Villa di Lozio, sulla cresta spartiacque con la Val di Scalve.
Lisiga (Leschìne) a m.1.565 vi è un dosso ad est di Sommaprada il cui nome deriverebbe da Visega o Isega (festuca ovina: erba molto diffusa nei pascoli alpini).
Luna (Lùna) a m.1.500 circa sono segnati, su alcune mappe, i "còregn de la lùna" (corni della luna) a sud di Villa di Lozio.
Paghera (Paghéra) bosco posto a m.1.200 circa e a sud ovest di Villa di Lozio. "Paghèr (abete) da cui "paghèra" che in dialetto camuno è l'abetaia, nome diffusissimo in molti comuni.
Plagne (Plagne) m 1.407, località a sud ovest di Villa di Lozio, sotto il monte Mignone, a confine con i comuni di Ossimo e Borno. Nome diffusissimo in Valle Camonica che deriva da "Plàgna" (luogo piano fra i monti), dal basso latino "plania".
Plagnone (Plagnù) a m.1.400 vi è un "doss Plagnù" a nord est di Villa di Lozio: il toponimo è l'accrescitivo di "plàgna".
Plazza-e (Plasha-e) a m. 1.320, un "doss Plàsha" è a sud est di Cima Plazze e ad est di Sommaprada: deriverebbe dalla diffusa voce latina "platea" (piazza).
Prato (Pràt e Prà) a m.1.180 vi è "pràt tond" (prato tondo), forse a causa della conformazione del terreno, a sud di Sommaprada.
Proline (Pròline) località a m.1.215 a sud ovest di Villa di Lozio, alla sinistra del torrente Lànico.
Resona (Resùna) sito posto a circa m. 1000: su antiche mappe risultavano presenti delle case e alcune baite a sud-ovest di Villa di Lozio, sul fianco destro del torrente Lànico. Il toponimo potrebbe derivare da "resona" (eco o accrescitivo di resa), ma potrebbe provenire anche da "resina" (acqua fangosa e stagnante) che a sua volta deriverebbe da "resa" o "riesa" che indicava della terra incolta.
Rodello (Rodèl) m.1.250: località con cascina a sud-ovest di Villa di Lozio, sul fianco sinistro del torrente Lànico. La vecchia cascina era tra due vallette e il nome potrebbe derivare da "rodèl" (rotolo), poiché "Rodèl" e "Rudèl" sarebbero anche diminutivi di re (rio, ruscello).
Santa Cristina (Shanta Crishtina) a m.1.162: è una bella chiesina a nord-ovest di Sommaprada, la frazione più montana di Lozio, incastonata alla base di un enorme canalone pietroso che spacca in due la montagna sovrastante. Il piccolo tempio è intestato alla santa che con i fratelli Fermo e Glisente (secondo la leggenda: vedasi pagine precedenti) si ritirarono in eremitaggio su tre monti diversi: i tre comunicavano tra loro accendendo ogni sera dei falò, fino alla loro morte.
Sommico (Shonìch) m.1.020: era una antica frazione della valle di Lozio, la più occidentale, presso Villa. Ich (vico). Probabilmente da Summus vicus (vedasi anche il nome Sommaprada).
Sòssimo (Shoshì) a m.2.396 sorge il "Mùt Shoshì", ad ovest di Villa di Lozio ed a nord-ovest di Borno, sopra il passo di Ezendola. Forse da salicinus, pianta diffusa in zona a quote però più basse.
Stalezzo (Stalèsh) a m.1.014 era un piccolo agglomerato di case a sud-est di Villa di Lozio, tra le valli del Lànico e di Santa Cristina. In origine queste abitazioni erano, quasi certamente, ricovero per animali o delle stalle con baite, da "Stal" (stallo) o "Stalàsh" (stallaggio).
Under (Onder) a m. 1.415: località a sud-ovest di Villa di Lozio sotto il monte Mignone a confine col comune di Borno.
Val-lle (Hàl) "la hàl" (la valle) è un avvallamento che scorre a sud-ovest di Sommaprada, tributaria di sinistra del Lànico: per molti toponimi val (oppure "hàl") è sinonimo di torrente.
Valle Piana (Hàl Piàna) a m.2.238 e a m.2.116: sono identificati sulle delle antiche carte della Serenissima Repubblica Veneta, antecedenti dunque anche al periodo napoleonico, il "mùt de la hàl piàna" (monte della valle piana o Monte di Valpiana) e una sottostante malga di Valpiana, sul versante esposto a sud a nord-ovest di Villa di Lozio.
Valzelazzo (Valselàsh) m. 2.024 piccolo passo a nord di Villa di Lozio, tra i monti Bagossa e val Piana. Deriverebbe il suo nome da "Valsèl" (piccola valle o vallicella) e valselàsh ne sarebbe il peggiorativo. "Valsel" o Halsèl" è voce dialettale molto diffusa in tutta la Valle Camonica per indicare delle piccole valli o dei torrenti montani, in molti casi "Halsèl" è seguito poi dal nome proprio della località.
Valle Varena (Hàl Varèna) solo su antiche carte militari dell'800, si trova una "Hàl Varèna" localizzabile a Lozio e diramatasi da sotto la Corna di Concarena. Per la voce Varena (in questo caso specifico) si può far riferimento alla piccola valle di rocce che la identificherebbe, per la quale si può riprendere la radice "var" voce prelatina (acqua corrente). Ma anche da "Vara" (pascolo, prato coltivato o campo).
Viti (Viç o Hìde) a m.660: località a sud di Sucinva, sul fianco sinistro della valle di Lozio. La quota del luogo e la esposizione a mezzodì-sera, sopra l'abitato di Malegno, non escludono la presenza della coltivazione della vite e "Hìde" o "viç" o "hìç" in dialetto camuno sono i luoghi con i filari delle viti.

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